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domenica 1 giugno 2008

L'occupazione dello spazio


In un bellissimo libro di Piero Zannini sul significato dei confini si dice che per vantare un diritto rispetto ad un luogo, un territorio bisogna primariamente occuparlo, questo è il primo atto che si compie per poter tracciare successivamente un confine di qualsiasi tipo. Insomma, per poter vantare una qualche aspettativa "su uno spazio illimitato" bisogna metterci dentro i piedi, intrufolarsi al suo interno, prendere possesso, occuparne un ambito. Questa occupazione, questo possesso non è solo spaziale, ma anche sociale, politico, mentale. Un territorio in questo modo è pubblico per la tribù che vi risiede, ma è considerato privato per tutti gli altri, così come una casa è proprieta di tutti i familiari che ci convivono, ma è privata per gli estranei.

Nel proprio spazio, ognuno inventa dei suoi modi di abitare che si consolidano e si perpetuano nel tempo, e queste abitudini danno un senso di familiarità che ci permette di sentirci a nostro agio quando ci muoviamo nella nostra casa, nel nostro quartiere, nella nostra città.
Quando arriva qualcun altro appartenente ad un’altra famiglia o ad un’altra tribù porta con sé non solo colori della pelle, carnagioni e culture diverse, ma anche modi differenti di abitare il nostro spazio. La linea di confine tra differenza ed invasività è molto sottile, soprattutto quando è esibita sotto i nostri occhi e forse questo è uno dei motivi alla base del fastidio di cui parla Igor e che appartiene a tutti, indipendentemente dal colore politico. Forse non abbiamo ancora imparato a interagire con modi diversi di abitare il nostro spazio e ci sentiamo sopraffatti ed accerchiati.

Inoltre, credo che in questi tempi incerti, a volte, viviamo il nostro territorio come una terra di nessuno.
La terra di nessuno si crea quando la percezione tra esterno ed interno si attenua o scompare del tutto, il dentro ed il fuori non sono più dimensioni percepibili, non c’è un interno da proteggere e custodire, di conseguenza non ci sono porte da varcare. Una porta simbolica o concreta separa il dentro dal fuori, istituisce anche una serie di rituali preziosi sia per chi accoglie, sia per chi chiede di essere accolto. Coloro che accolgono si preparano a ricevere l’ospite con un saluto, aiutandolo a sentirsi a proprio agio, accompagnandolo a visitare il luogo, facendolo accomodare, offrendogli da bere o da mangiare. Coloro che chiedono di essere accolti, invece, bussano alla porta, aspettano che venga loro aperto, chiedono permesso ed attendono di essere invitati. Tutta una serie di rituali che creano un’atmosfera di reciproca accoglienza ed ospitalità.

Nella terra di nessuno non ci sono porte da varcare o da aprire, per cui i rituali non vengono rispettati, i confini che delimitano lo spazio proprio da quello altrui saltano, i luoghi diventano spazi aperti di cui appropriarsi e da difendere con la forza. Non importa che la forza sia esercitata dall’espropriante o dall’espropriatore, e che si esprima in mille modi, dall’insofferenza, al rifiuto, all’aggressione come i fatti di Napoli e del Pigneto di Roma ci ricordano, ciò che conta è che “la psiche” dell’incontro tra diversità non riesca ad uscire da uno stadio primitivo.

venerdì 30 maggio 2008

Xenofobie vicine e lontane

Ho ricevuto questa mail da un'amica che mi ha inoltrato una mail in diretta dall'Africa. Ho chiesto di pubblicarle entrambe. Segue il mio commento.


"Ciao Igor

le notizie (poche) che arrivano dal Sud Africa sono inquietanti. Oltre che essere inquietanti in sè, direi che lo sono anche per le possibili assonanze con gli slogan poco edificanti che girano anche qui in Italia. O, almeno, io appena ho visto il breve servizio sul TG, ho pensato alla nostra situazione di intolleranza crescente.
Certo....qui per fortuna i fucili sono solo nominati, lì, purtroppo, li hanno presi in mano ed utilizzati. Ti passo la mail di mia cugina che vive in Mozambico (uno dei confini "poveri" del Sud Africa), perchè mi sembra giusto condividere una cosa che ci riguarda. Tutti.

Buona giornata, Monica"


"Cara Monica e Cara zia Maria

la violenza xenofoba è scoppiata in Sud Africa contro tutti i lavoratori stranieri provenienti dal Mozambico, dal Malawi, dallo Zimbabwue, dalla Nigeria, dalla Somalia e dal Pakistan etc.
Si tratta di una violenza inaudita. Bande armate distruggono tutto quello che incontrano dalle case alle macchine; picchiano, violentano, uccidono. Si tratta di lavoratori legali che negli anni si sono inseriti nel tessuto sociale accettando i lavori piu' umili e pericolosi (mine).
Il Governo Sud Africano non è riuscito e non riesce ad arginare il problema e quindi tutti si sentono in grave pericolo e tentano con ogni mezzo di rientrare nel loro Paese di origine. In Mozambico sono già rientrati piu' di 50.000. Sono rientrati a mani vuote, hanno perduto tutti i loro averi e anche la loro speranza di sopravvivenza è ridotta al minimo. Sono come un esercito di nuovi disoccupati."



Grazie per aver voluto condividere questo tuo pezzo di storia, Monica. In effetti è inquietante. Tutto è inquietante.

Sono appena tornato dal mio ottico di fiducia. Mentre mi stava sistemando gli occhiali che avevo calpestato, entra un extracomunitario che vuole propinargli il solito servizio non richiesto. Lui gli dice di no e lo congeda pacatamente. Poi si rivolge a me e, sempre in modo pacato, mi dice che "quando è troppo è troppo". E si riferiva a fatti molto concreti: dai tipi che ogni giorno passano dal negozio per questa o quella questua, agli sbandati che si sono accampati in largo Marinai d'Italia, al proliferare dei negozi cinesi e turchi, alla romena che gli confida che i romeni venuti qui sono quelli che sono stati scarcerati là...

Ero in un imbarazzo profondissimo. Cosa potevo dire? Che non era vero? Come si può dire a uno che sta dando voce a un sentimento che alla fine è anche mio, che non è vero? Io posso essere molto più tollerante e disposto a convivere con tutto quello che lui ha elencato, ma non posso dire che sono contento. Anche a me dà fastidio vedere che i miei ristoranti a uno a uno prendono gli occhi a mandorla, passeggiare per strada e sentire il puzzo del kebab, girare con mia figlia per il parco e trovarlo pieno di immondizia ed escrementi. Ho tentato di arginare quel fiume di lamentazioni con battute del tipo "anche gi svizzeri se è per quello quando vengono da noi fanno cose che a casa loro non si permetterebbero", ma mi sentivo ridicolo e del resto l'argomentazione non ha avuto alcun effetto.

No, non si combatte la xenofobia con il moralismo. E sino a che non saprò cosa rispondere al mio ottico di fiducia senza tirare in ballo le splendide analisi sui flussi migratori, la globalizzazione, i processi di pauperizzazione, il disastro ambientale e via filosofeggiando, non credo che potrò nutrire alcuna fiducia nella possibilità che il futuro sia diverso da quello che si sta prospettando.

Un abbraccio
Igor

domenica 25 maggio 2008

Caro Uòlter, cosa c'è che non mi quadra?

Ok Uòlter, ti ho letto ancora. E con attenzione. Grazie all'inserto odierno dell'Unità. Ancora una volta devo manifestare la mia ammirazione per te e il sostegno a quello che dici. Però. Però perché qualcosa non mi torna?

Parli delle crisi che attraversiamo, la crisi di crescita, la crisi di sicurezza, la crisi di valori. Ok. Ci sono e sono convinto che siano problemi prioritari, nemici da battere quasi. Ma mi manca qualcosa in questi discorsi. Mi manca sempre qualcosa.

Mi manca di non sentir parlare della crisi di Libertà che ci riguarda tutti. O è compresa nel pacchetto-crisi di cui sopra? È una conseguenza? Un effetto collaterale? Non è che sarà una causa e ce la stiamo dimenticando? Io mi sento sempre meno libero, e non solo perché mi sento meno sicuro. No, mi sento sempre meno libero perché ho sempre meno possibilità di esprimere ciò che penso e di farmi ascoltare da qualcuno.

Mi manca di non sentir parlare della crisi di Virtù. Che non è la stessa cosa della crisi dei valori. Certo, due cose intrecciate, ma non la stessa. Anzi, è stupefacente che si parli molto dei valori in seria difficoltà, ma che la stessa nozione di “virtù” appaia così vecchia, quasi improponibile. Sarà un caso che anche quella opposta di “vizio” sia scomparsa? Tutto appare definirsi nella vasta arena del consenso, e quello che è giusto per la maggioranza, ispo facto diventa Giusto. Io non sento porre all’ordine del giorno la necessità di comportarsi secondo virtù. Di conseguenza non sento neppure aperta la possibilità di chiederne conto a quelli che incontro. Posso farlo solo tra me e me. In solitaria. Ma che senso ha una virtù praticata, se è una virtù invisibile?

Mi manca infine di non sentir parlare della crisi di Intelligenza. Non perché dilaghiamo in un mare di ignoranza: l’ignoranza è il contrario della conoscenza, non dell’intelligenza. L’intelligenza, invece, è la volontà di applicarsi alle cose cercando di capirle. Ecco, io mi sento oppresso dall’ipointelligenza, ovvero dall’abitudine premiata di applicare a qualsivoglia problema il quantitativo minore di intelligenza possibile. E intravedo all’orizzonte l’approssimarsi trionfale dell’antiintelligenza, ovvero della volontà attiva di combattere ogni forma di intelligenza possibile. E non sarebbe la prima volta nella storia.

Ho confessato tutto questo a un amico. Mi ha risposto saggiamente che tutte queste cose anche se non sono direttamente nominate, nelle tue parole caro Uòlter, ci sono, perché tu le pratichi. E ne sono felice, so perché ti stimo. Ma non so se mi posso accontentare della tua libertà, della tua virtù e della tua intelligenza. Io vorrei che grazie a queste qualità, tu provassi a dire che ci tieni e combatti anche per la libertà, la virtù e l’intelligenza del sottoscritto. E, con me, di tutti gli Italiani.

Con stima e affetto
Igor Salomone

martedì 20 maggio 2008

Il Paese Semplice

Succede che sono nella mailing list di Giap e nella news letter odierna c'è quanto segue. Lo giro volentieri. E non serve alcun commento.

La zona dove abito verrà presto chiusa alle auto. Un mese fa su vetrine, muri e parabrezza del quartiere sono comparsi i cartelli, "No alla pedonalizzazione". L'altra sera il comitato del No ha convocato un’assemblea per decidere che fare. Ci sono andato. Ho alzato la mano e ho spiegato che a me la zona pedonale piace, anche se ho due bimbi piccoli e spesso girare in auto mi diventa necessario. Mi hanno ascoltato per un minuto, incapaci di capire se fossi lì per sfotterli oppure per sbaglio. Poi un signore garbato mi ha interrotto e mi ha spiegato che quella non era una riunione per confrontarsi, ma per decidere come contestare il provvedimento. Allora mi sono scusato e ho chiesto se la riunione di confronto l'avessero già fatta o messa in programma, perché ci tenevo davvero a spiegare le mie ragioni. Mi ha risposto una signora, scandendo le parole come si fa con gli stranieri: "Noi siamo già contrari. A che ci serve parlarne ancora? "
Prima Regola: eliminare il dubbio. Il Paese Semplice è un paese a priori.
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Consiglio anche di leggere tutto l'editoriale qui.

giovedì 15 maggio 2008

Ehila! c'è qualcuno?

Monica ha detto commentando il post "Perdere e perdersi":

"Io sento l'esigenza di non implodere. Mi sembra talmente altro quello che sta accadendo che devo vincere la reazione di non guardarlo.

Non guardare Fini che risponde a Di Pietro che, se non lo fanno parlare ,è colpa sua, salvo aver detto pochi giorni prima che rappresentava, per la sua carica istituzionale, tutti (quindi anche i punti di vista diversi dalla maggioranza, per logica).

Non guardare alla logica molle (e non morbida) di abbandonare una sana e democratica contrapposizione. Perchè mai dovrebbe andarmi bene la logica ipocrita del "volemose bene"?Non è per il mio bene, non è per il nostro bene, non è per il bene del Paese. Serve solo a creare un pensiero unico, un appiattimento, un impovermento, piuttosto: un regime.

Per quel poco che mi impongo di guardare, la sinistra che ho votato perchè è così lontana da me? Perchè non mi ascolta? E come posso farmi sentire. Evidentemente, il voto non basta e nemmeno fare scelte coerenti e concrete.

E allora, chiedo, come possiamo farci sentire?"


Dici bene Monica, un regime è il contrario esatto della dialettica democratica. Ma non c'è dialettica democratica se:
  1. non riesci a farti sentire
  2. se riesci a farti sentire, ti dicono che non è quello il modo di farti sentire
  3. se quelli che dovrebbero farsi sentire al posto tuo, cercano di farsi sentire il meno possibile per evitare pericolosi risentimenti
Di conseguenza, se viene a mancare una dialettica democratica, temo che la domanda "come possiamo farci sentire?" sia mal posta. La domanda giusta è, visto che non è possibile farsi sentire oppure è pericoloso riuscirci, cosa possiamo fare invece di cercare di farci sentire...
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Ovviamente, al momento, non ho una risposta. Ma ce l'ho sulla lista delle cose da fare...

martedì 13 maggio 2008

Perdere e perdersi

Hanno vinto. Sì’, hanno vinto. Hanno vinto perché c’è in giro aria di disfatta. Persino una voglia perversa di dichiararsi sconfitti, inadatti, velleitari, sordi ai bisogni veri della gente, incapaci di intercettare paure, desideri, aspirazioni. Chiusi nei palazzi, nei loft, nelle segreterie, lontani da quello che si muove dove operai, impiegati, artigiani, studenti, pensionati, imprenditori si muovono, soffrono e sopravvivono. Questo saremmo noi, i perdenti, visti da noi stessi. Che infatti siamo perdenti.

Hanno vinto perché lo gridano in continuazione e da subito. E vogliono il bottino, tutto, senza sconti. E nessuno che provi a fermarli, anzi, se hanno vinto avranno pure avuto delle buone ragioni. Almeno loro. Non come quelli che sono stati sconfitti, ovvero noi, che la ragione sembra abbiamo perso da tempo. E non sapendo più a chi dar ragione, ecco la rincorsa comune per assegnarla a chi se la prende con la forza.

Hanno vinto perché il linguaggio che dobbiamo parlare è il loro, e lo facciamo, con le braccia alzate. E se non lo facciamo, ci tocca l’afasia. E se prendiamo la parola dobbiamo poi fare pubblica ammenda, perché un altro linguaggio non è ammesso, è condannato, esecrato, additato. E allora stiamo zitti, oppure parliamo ma nessuno ci ascolta, qualche volta ci sentono e finiamo nei guai, e ci scusiamo, e perdiamo ancora, sempre, in continuazione.

Hanno vinto non perché loro hanno vinto e noi perso. Perché noi, perdendo, ci siamo persi.
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Ci siamo persi perché abbiamo smarrito l’orgoglio e la dignità, il coraggio e la forza, la determinazione e la volontà, il senso di responsabilità,

L’orgoglio di essere figli, figli di padri e madri che hanno dato prima la vita per la nostra libertà, compresa quella di chi ora li rinnega, e poi hanno dedicato l’intera vita a costruire quel benessere dietro il quale rischiamo di perdere i diritti e i doveri che ci avevano appena regalato.

La dignità di uomini e donne non riducibili a consumatori, lavoratori, contribuenti, utenti, spettatori. Uomini e donne fatti non solo di problemi da risolvere, bisogni da soddisfare, desideri da esaudire, ma soprattutto di intelligenza e di virtù. E che per l’intelligenza e la virtù, per coltivarle e per proteggerle, sono disposti a sacrificare i desideri, semplificare i bisogni, convivere con i problemi.

Il coraggio di combattere per ciò che riteniamo giusto per tutti, contro quelli disposti a combattere solo per ciò che ritengono conveniente per sé. Di lottare sino in fondo per proteggere il proprio vicino, di sacrificare la propria vita se necessario per fare la cosa giusta, di pagare in prima persona per le proprie scelte senza scaricare i costi sulle spalle degli altri.

La forza di affrontare tutto ciò che minaccia il nostro coraggio, la nostra dignità, il nostro orgoglio, cadendo magari, e poi rialzandosi, sempre, sino all’ultimo respiro. Di sostenere chi di forza ne ha meno, ma ha lo stesso diritto alla dignità. Di guardare intensamente davanti a sé alla strada che c’è da fare e non il numero degli ostacoli che occorre superare. Di guidare chi per paura di quegli ostacoli, rischia di non provare neppure a percorrerla.

La determinazione nel compiere scelte e scegliere percorsi, senza certezza alcuna, se necessario, contro tutti coloro che non sanno intraprendere nulla, ma sanno criticare acutamente tutto quello che intraprendono gli altri. Nel riconoscere errori e abbagli non per interrompere il cammino ma per correggerlo. Nel giudicare applicando intelligenza a tutto ciò che si incontra, compresi i propri giudizi sbagliati.

La volontà di farsene qualcosa di tutto ciò che ci accade, perché ciò che ci accade non dipende da noi, ma le nostre reazioni sì. Di riconoscere in ognuno la possibilità e dunque attribuendo a ognuno la responsabilità di quella possibilità. Di esserci mediando con la volontà altrui su tutte le scelte possibili, ma senza sconti e senza compromessi sull’intelligenza e sulla virtù.

Il senso di responsabilità nei confronti del mondo. Di un mondo che è molto più di ognuno di noi, ma che esiste perché, e sino a che, è in ognuno di noi. Perché è al mondo, alla sua stessa possibilità di continuare ad essere, che in ultima analisi dobbiamo rispondere.


Al di là di ogni dotta analisi, è solo da qui che possiamo ripartire.

lunedì 12 maggio 2008

Giù le mani da Travaglio

Voldemort non ha ancora avuto la fiducia formale del Parlamento e già siamo ai prodromi delle prossime epurazioni. Possibile, dico P-O-S-S-I-B-I-L-E che il coro delle voci sia sempre il medesimo? Perchè sono e siamo costretti a sentir ripetere banalità per giunta false?

Non avevo visto la puntata di Chetempochefa. Sono andato a vedermi lo spezzone su youtube, consiglio vivamente di farlo. Perchè le parole di Travaglio hanno suscitato il vespaio che hanno suscitato? Così chiunque si può rendere conto del punto cui è giunto l'attacco alla libertà di informazione in questo Paese.

Aggiungo anche che sono scandalizzato per le reazioni scandalizzate di persone per altro degnissime come la Finocchiaro. Ma possibile che in questo Paese un'Istituzione si debba difendere solo perchè è un'Istituzione? e contro ogni buon senso? Schifani è stato accusato non da Travaglio ma da un libro che Travaglio ha citato di fatti ben precisi. Li smentisca. Punto. Invece no, sembra si debba additare chiunque provi a indicare qualche fatto scomodo per il solo fatto che sarebbe un'insulto alle istituzioni.

Che nausea. Aggiungo anche la profonda delusione che mi ha procurato la reazione di Fazio. Primo: dare ragione a Sgarbi che ha insultato in modo inverecondo Travaglio ad Annozero è inqualificabile per uno che fa della moderazione il proprio vessillo. Secondo: dissociarsi pubblicamente e in diretta da quello che dice un suo intervistato è un atto giornalisticamente scorretto e di una vigliaccheria straordinaria. Sulla poltrona di Fazio si sono succedeuti personaggi di tutti i tipi, che hanno detto cose di ogni genere, con molte delle quali Fazio non era visibilmente daccordo. Ma non l'ho mai visto "dissociarsi" da ciò che dicevano. Perchè, ripeto perchè, ha sentito il bisogno di farlo con Travaglio?
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Che nausea.

Lo scrivo e lo giuro: sono totalmente dalla parte di Travaglio e sono pronto a ingaggiare una battaglia senza quartiere in sua difesa. Perchè è una battaglia in MIA difesa. In difesa della mia libertà e soprattutto della mia intelligenza.

venerdì 9 maggio 2008

Citazioni e meditazioni

Giovanna N. ha postato a commento di "Sicurezza, sicurezza, primavera di bellezza" un lungo brano di Toqueville che ho poi scoperto essere una specie di must nel mondo dei blog e non solo. Guardatevi questa ricerca Google in proposito.
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Credo dunque tocchi anche a me raccogliere l'invito di Giovanna e pubblicarlo in prima pagina. E direi che non ci sono commenti da fare.

«Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. Ineffetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista dei beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene volentieri... Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi delpotere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere. Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimentosui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo».

Tratto da La democrazia in America di Alexis De Tocqueville, 1840.

martedì 6 maggio 2008

Bulli, gang e neuroni

Dice che a Viterbo bruciare i capelli di un compagno con l’accendino possa essere una sorta di rito iniziatici praticato dai “bulli” di una scuola medi per stabilire chi debba essere degno di stare dentro e chi no. Del resto dice anche che a Verona la banda di giovinastri che ha ucciso a pugni e calci un loro coetaneo, appartiene al ben noto fenomeno delle gang giovanili presente a tutte le latitudini e probabilmente molto antico.

Però i riti iniziatici, per definizione, sono destinati agli iniziati e agli iniziandi, dunque se si riprende con il telefonino una qualche sevizia perpetrata ai danni di un malcapitato e poi il filmato gira per tuta la scuola o finisce su Youtube, cosa cavolo centra con le iniziazioni, per loro natura sempre riservate e segrete? E cosa cavolo centrano le gang di Chicago che si fanno la guerra tra loro per il controllo di una porzione ridicola di territorio degradato e i Naziskin di buona famiglia che brutalizzano il prossimo in nome di una ideologia che pretendono essere buona al punto da essere imposta al mondo intero?

Niente. Un accidenti di niente. E i discorsi che circolano in proposito sfiorano fin troppo l’idiozia.

A meno che.

A meno che il rito iniziatico non consista nel bruciare capelli, ma nel riprendere l’atto per pubblicarlo. A meno che la gang giovanile con svastica tatuata non cessi di essere una semplice gang perché qualcuno la sdogana dai bassifondi culturali e la promuove a movimento politico. E allora, che ci sarebbe da stupirsi? Se ciò che conta è andare in onda, è ovvio che degli adolescenti con non più di tre neuroni attivi nella scatola cranica si prepararino con molto anticipo al casting del Grande Fratello, oppure a infrangere qualche primato idiota per entrare nel Guinnes dei primati. E se ciò che conta è urlare la propria verità evitando accuratamente di ragionarci attorno, è ovvio che una banda di giovani che abbiano da tempo messo in pensione ogni attività cognitiva, si preparino ad essere partecipanti attivi e sbraitanti di qualche talk show dove faranno le medesime cose, salvo evitare di ammazzare qualcuno.

La cosa francamente insopportabile alla fine di tutto ciò, è che dovremo pure sorbirci le litanie mai esauste sulla necessità di educare in nostri figli, se non vogliamo che finiscano così. Magari con una buona iniezione di valori, di quelli veri, dimenticando che i valori non si raccontano, si praticano. E quelli praticati in modo diffuso sono esattamente quelli che gli stupidi di Viterbo come gli assassini decerebrati di Verona, hanno imparato e seguito diligentemente. Sicchè alla stupidità degli eventi, siamo costretti ad aggiungere la stupidità dei giudizi.

Forse, se proprio vogliamo dire qualcosa di rivoluzionario, la questione di fondo è che il valore primo e irrinunciabile cui ogni intenzione educativa dovrebbe tornare, è il valore del pensiero critico. Come dire che se vogliamo invocare in modo sensato l’intelligenza dell’educazione, occorre che pratichiamo sino all’ultimo respiro un’educazione all’intelligenza.

domenica 4 maggio 2008

Annozero e il potere: Travaglio, perché non parli?

Quanti eravamo l’altra sera ad Annozero? Più di tre milioni, se non sbaglio. Dunque eravamo in un bel po’ a vedere cosa è successo. Bene, ora dobbiamo sapere tutti che quello che è successo, non è successo, anche se l’abbiamo visto con i nostri occhi. Questa sarebbe la democrazia: milioni di persone partecipano a un qualsiasi evento, poi qualche decina di aventi-diritto-alla-parola raccontano al mondo come è andato quell’evento e, alla fine, quell’evento sarà andato come raccontano loro. E tu che c’eri ti rodi nell’impotenza.

Certo, nessuno ti impedisce di avere una tua opinione, infatti a me nessuno lo impedisce. Ma sta di fatto che la mia opinione resta nella mia testa, al massimo verrà accolta benevolmente da qualche amico, se proprio proprio sono telematizzato la scrivo su un blog che leggeranno in dieci se va bene e, dunque, quel che penso io di come è andata nella famigerata trasmissione di Santoro dedicata alla piazza di Grillo, non conta assolutamente un cazzo.

Come è andata secondo me? No, mi dispiace, non “secondo me”. I fatti possono essere celati ai più, ma sono sempre fatti. L’assessore alla cultura del comune di Milano, Vittorio Sgarbi, ha imperversato nello studio e davanti alle telecamere con insulti e urla per un tempo indefinito. Ha impedito più volte a Marco Travaglio di parlare, ha parlato sopra e addosso a Santoro, ha offeso sia Travaglio che la giornalista del Manifesto, ha impedito in larga misura la discussione critica che la trasmissione voleva offrire sulle parole di Grillo. Santoro e Travaglio non si sono scomposti, hanno solo cercato di continuare sulla strada della riflessione senza alzare i toni e senza rispondere, Travaglio in particolare, alle provocazioni inqualificabili di Sgarbi. Sin qui i fatti di quella sera.

Dal giorno dopo il problema del quale sono costretto a leggere sui giornali è che Santoro avrebbe dato troppo spazio a Grillo. E che questo è un uso errato della televisione pubblica. Non entro nel merito della libertà di stampa, che però è una questione cruciale. Il punto a me sembra un altro: se sia accettabile che durante una trasmissione in prima serata sulla televisione pubblica un qualsiasi signore possa dare in escandescenze, insultare, agitarsi, rubare tempo e parola a tutti gli altri, farlo liberamente e non essere invitato a lasciare lo studio. Perché questo è secondo me l’unico errore di Santoro: doveva invitare Sgarbi a smetterla con la sua piazzata oppure farlo uscire dalla trasmissione.

Il giorno dopo, invece, quello che ha fatto Sgarbi praticamente sparisce o viene ridotto a un fenomeno di colore, mentre il bersaglio degli attacchi politici è Santoro. E tutti noi che c’eravamo siamo totalmente privi di ogni potere di incidere sulla formazione della cosiddetta “opinione pubblica” sull’evento in questione.

Dico a voi, a quei dieci che leggeranno queste righe, benvenuti nella dittatura del nuovo millennio.

venerdì 2 maggio 2008

L'Eticometro e l'Audience televisiva

Una sera in tivvù. Non importa quale. Trasmissione di approfondimento, una qualsiasi, di quelle con ospiti in sala e conduttore che dirige il traffico. Uno degli invitati, personaggio famoso e discusso, urla e sbraita contro tutti, copre con la sua voce le parole degli altri, impedisce al conduttore e a due ospiti di parlare, di portare a termine un qualsiasi ragionamento, insultandoli sfacciatamente. E dove sarebbe la novità? Ecco, appunto, non c’è alcuna novità, tutto normale, spettacolo visto e rivisto innumerevoli volte. Perché parlarne allora? Perché è ora di dire qualche parola in proposito.

Dunque, l’Individuo Sbraitante, direi che possiamo considerarla una categoria sociologica e attribuirgli per questo le maiuscole, esprime un modulo comportamentale tipico degli Individui Sbraitanti: insulta dando del tonto e del bugiardo a un suo simile (si noti la mancanza intrinseca di logica: se uno è bugiardo di solito è furbo e non può essere tonto) accusandolo di mancare di rispetto. Capito il loop? No? certo, siamo talmente abituati a simili evoluzioni retoriche che rischiamo di non vederle nemmeno. Allora, la struttura del comportamento è più o meno questa: ti accuso di fare una cosa facendo la stessa cosa di cui ti accuso. E’ come dare dell’isterico a qualcuno urlando e agitandosi in modo incontrollato, di accusare a suon di sberle il proprio prossimo di essere violento o di essere arrogante e prevaricatore impedendogli di parlare. Succede spesso, è nella natura degli esseri umani produrre moduli comportamentali al limite del paradosso. È per questo che esistono la Logica e l’Etica: la prima per cogliere la falsa razionalità dello Sbraitante, la seconda per poter giudicare sbagliati e riprovevoli comportamenti di questo tipo.

Ma sembra che Logica ed Etica non alberghino nelle trasmissioni televisive. E questo è il vero problema. In verità il conduttore e gli ospiti insultati nel caso specifico hanno mostrato una dignità considerevole. Il conduttore ha tentato pacatamente di trattenere la discussione sul tema che lo Sbraitante ovviamente continuava a rimuovere per parlare di quello che voleva lui, e l’insultato ha dato prova di un sangue freddo assoluto non replicando mai al suo aggressore anche quando da casa il desiderio era che si girasse e lo prendesse a schiaffi. Ma può bastare? No che non può bastare. Uno grida, prevarica, insulta e tutti gli altri lo lasciano fare senza reagire, aspettando che sbollisca da solo. È giusto? No. Non mi pare fossimo in una psicoterapia di gruppo nella quale uno dei pazienti può ben dare fuori di matto e tutti gli altri lasciano che passi la buriana. L’Etica implicita in una scena del genere è che chi più urla più prende: si prende più tempo, più visibilità, più potere e, soprattutto, si prende la libertà degli altri che sono costretti a tacere. Certo, gli altri vincono alla grande in Dignità, ma la dignità in assenza di libertà e della capacità di difenderla, è una virtù da schiavi.

In certe trasmissioni televisive ci vorrebbe un Eticometro. Un marchingegno in grado di misurare in tempo reale il livello etico di un comportamento manifestato e spararlo su un display gigante. Urli? -10 punti. Urli un’altra volta nonostante un richiamo verbale esplicito? -50 punti. Insulti qualcuno? -100 punti. Lo insulti facendo la stessa cosa di cui lo accusi? -500 punti. E accanto il Convertitore che trasforma i punti in meno in minuti, ore, giorni di espulsione dalle trasmissioni televisive. Da tutte le trasmissioni televisive. Sarebbe bello eh? No, in fondo è un’idiozia, li sento già quelli pronti a sostenere che così facendo ogni discussione televisiva diventerebbe in poco tempo bacchettona e noiosa all’inverosimile. E l’Audience, si sa… Ma in fondo, è vero, gli Sbraitanti potrebbero anche avere una funzione e farli sparire potrebbe rivelarsi un errore. Quale funzione? Quella di far esercitare a tutti gli altri il diritto di difesa. Purchè questo diritto venga stimolato e promosso.

Esattamente quello che non è successo nella trasmissione dell’altra sera. E in tutte le trasmissioni consimili. Proviamo a sognare cosa potrebbe accadere la prossima volta che un IS irrompe sulla scena offrendo l’occasione per praticare esercizi di Etica. Immagino il conduttore che lo invita ad abbassare i toni, pacatamente ma con determinazione. Lo vedo guardarlo negli occhi, con le telecamere che passano dal suo sguardo deciso e calmo al fare scomposto dello Sbraitante. Lo vedo ripetere una, due, tre volte l’invito e poi chiedere alla sicurezza di accompagnare fuori dallo studio il recidivo. + 1000 punti! Vedo anche l’insultato che, in modo composto, chiede al conduttore di intervenire per ridurre alla ragione lo Sbraitante, lo vedo ripetere una, due, tre volte la richiesta e poi, eventualmente, lo vedo alzarsi, guardare in camera e, chiedendo scusa ai telespettatori, dichiarare l’impossibilità per se stesso di restare a fianco di chi continua a insultarlo, uscendo subito dopo dallo studio, seguito dagli applausi del pubblico. + 10.000 punti!! Vedo il pubblico all’unisono che si alza e se ne va dichiarando per bocca di qualcuno che non può restare ad assistere agli insulti dello Sbraitante perché restare significherebbe esserne complici. +100.000 punti!!! Vedo infine lo Sbraitante che si aggira smarrito nello studio vuoto, senza audio e con la scritta in sovrimpressione che scorre avvertendo i telespettatori che il signore rimasto solo in video aveva voluto tutto per sé il dibattito e la regia, in accordo con conduttore, ospiti e pubblico, ha deciso di lasciarglielo. +1.000.000 punti!!!!!

Ecco, così vorrei una trasmissione televisiva, e sarebbe anche eccitante. Chi ha detto che solo la maleducazione fa spettacolo….?

mercoledì 30 aprile 2008

Sicurezza, sicurezza, primavera di bellezza...

Ecco, ci siamo, finalmente potremo affrontare di petto la questione Sicurezza! Chiederci cosa abbiamo sbagliato, cosa non abbiamo capito, cosa non abbiamo saputo vedere. Insomma, sulla Sicurezza eserciteremo l’Autocritica (vedi “No, l’Autocritica no!”) e ci batteremo il petto, pentiti. Oddio, magari molti si batteranno il petto additando (vedi “Additare e Indicare”) i propri vicini come i principali responsabili. Ma fa lo stesso.

Volendo però evitare di incorrere nello stesso vizio, additare gli additatori è privo di senso, mi sforzerò di indicare qualche questioncina a mio parere rilevante ma sfuggente. Ad esempio, così, per iniziare, quando parliamo di Sicurezza, di cosa stiamo parlando? La riposta più diffusa è che si tratti di un bisogno. E il non aver capito che è un bisogno in rapida crescita, un errore fatale. Forse.

Proverei ad avanzare un’ipotesi alternativa: ciò che rischia di essere fatale è non aver capito che il valore Sicurezza è in caduta libera. I bisogni sono sempre una trappola e tendono a imporsi gli uni contro gli altri. Ovunque qualcuno tenti di soddisfare i propri bisogni di sicurezza, non fa che spostare l’insicurezza sui propri vicini. Se la sicurezza è un valore, invece, occorre che ognuno si faccia carico non della propria, ma della sicurezza dell’Altro. Troppo buonista? Consiglio la visione di un qualsiasi film di guerra: la maggior parte finisce prima o poi col dire che ogni soldato combatte per la vita del compagno al proprio fianco. E che questo è l’unico modo, per tutti, di garantirsi una chance di sopravvivenza.

Magari è una metafora che funziona anche per riattivare l’intelligenza dei destri.

sabato 26 aprile 2008

Additare e indicare: oltre il vizio del grillismo

C’è qualcosa che sottilmente accomuna fenomeni apparentemente lontani tra loro. Le invettive neoqualunquiste contro partiti, caste varie, poteri assortiti che provengono assomigliandosi dalla Lega come dalle piazze-palcoscenico dei comici-predicatori, dalla volgarità di Libero come dalle dotte analisi di certi intellettuali alla Sapelli, intervistato oggi dall’Unità, appartengono tutte al grande fronte del grillismo. Ovvero di quel costume estremamente diffuso nella nostra cultura che potremmo definire dell’additare.

Puntare l’indice su qualsiasi cosa facendola a pezzi vuoi con le peggio parole, vuoi con analisi sottili, è il modo più semplice, per chiunque, di sembrare intelligente. Tutti amiamo sentirci intelligenti, nel senso che l’intelligenza resta ancora un valore assolutamente condiviso e una virtù della quale nessuno vuole essere privato. L’intelligenza però è una pratica faticosa, quindi ognuno va in cerca di ogni scorciatoia possibile, e l’additamento è la regina delle scorciatoie.

Additare vuol dire essenzialmente sottolineare ciò che è sbagliato, brutto, ingiusto, inefficace, negativo. E dato che per ogni scelta possibile, il numero degli errori in agguato è sempre di gran lunga superiore a quello dei successi concreti, ovvio che l’esercizio dell’additamento costituisca una facilissima strada per il successo cognitivo. “Visto? L’avevo detto!!” costituisce generalmente il premio più facile da riscuotere.

Se vogliamo avere una qualche possibilità di incidere sulla trasformazione della cultura di questo Paese, invece, credo dobbiamo imparare collettivamente l’uso dell’indicare. Ovvero praticare la speciale virtù del puntare l’indice verso un orizzonte, un obiettivo e una o più strade per raggiungerlo, o almeno per provarci.

Anche per questo ringrazio ancora una volta Veltroni. Non importa se ogni tanto o anche spesso si sia concesso e si conceda anche lui di additare. Quel che conta è che nel panorama politico nostrano è l’unico ad aver mostrato la capacità di indicare una strada da percorrere. Che tutti i suoi critici, con uno sforzo di umiltà, ci si provino a praticare la medesima virtù.

venerdì 25 aprile 2008

25 aprile: liberare la Testa dell’Elettore Vincente

Oggi credo di aver finalmente colto un tratto psicologico essenziale dell’Elettore Vincente. E mi sembra il giorno giusto, del resto. Ho inviato un sms collettivo per ricordare il 25 aprile e qualcuno, in risposta, ha balbettato qualcosa attorno ai partigiani che ci sarebbe molto da dire e che certo la Liberazione, ringraziamo gli Alleati che ci hanno salvato e comunque che lui ragiona con la sua testa! Quella del ragionare con la propria testa è una rivendicazione accorata che ho incontrato parecchie volte. Di solito pronunciata da chi, esclamandola, vuole chiuderla con le tue argomentazioni mettendoti a tacere. L’Elettore Vincente, a maggior ragione ora che ha vinto, sembra dire guarda che non mi incanti più con i soliti discorsi triti e ritriti della cultura comunista dominante, sono un sacco di palle con le quali ci hanno riempito per anni la testa, ma ora la mia è libera e pensa per conto suo, mentre la tua continua a essere imbesuita da quello che (quelli) ti vogliono fare credere. Segue di solito l’invito perentorio a svegliarsi e a crescere.

Ecco con chi abbiamo a che fare: con qualcuno convinto di essersi finalmente liberato dall’Oppressione. Ovvio che il 25 aprile gli interessi poco, si sta preparando a celebrare il 14 di aprile come giorno della Liberazione. Non importa se la prima schiavitù dalla quale si trova liberato è quella dell’intelligenza. Perché è proprio l’intelligenza la vittima sacrificale destinata ad essere immolata. Non l’intelligenza intesa come facoltà, ma come volontà di capire. Una volontà azzerata dalla convinzione ferrea di aver improvvisamente capito tutto, dimodochè si possa chiudere ogni discorso, perché appunto non c’è bisogno di capire più nulla. Questo, al fondo, è il senso celato dietro le parole veementi di chi ti rinfaccia di “ragionare con la propria testa”

Dunque è da qui che partirò per capire cosa voglia dire oggi Resistenza. Vuol dire, ancora una volta, opporsi alla notte della mente. Vuol dire ingaggiare battaglia strada per strada, casa per casa, ufficio per ufficio, costringendo chi si vanta di ragionare con la propria testa a farlo sul serio, cioè a ragionare liberamente con me, impedendogli di rinchiudersi nella propria testa, come se anch’io non ne avessi una degna di incontrare la sua.

E se scapperà, lo rincorrerò dandogli del codardo, giusto per sottolineare che oltre ad avere una testa autonoma ma del tutto inutile, non ha neppure il fegato di confrontarsi lealmente con chi non la pensa come lui.

Come ho risposto a un altro sms che raccomandava di celebrare il 25 aprile per non dimenticare, non so se si tratti di non dimenticare o di non dimenticarsi di portare a termine un lavoro, la Liberazione, iniziato gloriosamente 63 anni fa, ma non ancora terminato.

mercoledì 23 aprile 2008

"Bella ciao" goodbye!

Era ora finalmente: liberiamoci della Liberazione! O quanto meno di quella sua celebrazione il 25 aprile che da 60 anni divide gli Italiani tra quelli che hanno creduto, hanno combattuto e in qualche caso sono persino morti per la democrazia e gli altri che invece la democrazia l’avevano seppellita sotto le leggi speciali, quelle razziali, le guerre, i bombardamenti, i rastrellamenti, le fucilazioni, i campi di sterminio. È ora di finirla con le feste che dividono. È ora di ricomporre l’Unità Nazionale.

L’idea mi pare talmente buona da essere applicata ad altri miti fondativi oramai, diciamolo, obsoleti e altrettanto perniciosi quanto alla divisione delle coscienze. Saltando a piè pari la Rivoluzione d’Ottobre, chè tanto quella è stata già abbondantemente rimossa dalla Storia, proporrei la seguente scaletta abolizionista:

14 luglio, Presa della Bastiglia, ricorrenza della Rivoluzione Francese, data che segna la non più sostenibile frattura tra la Modernità e l’Ancien Regime, tra l’Europa dei ceti produttivi e l’Aristocrazia, tra lo Stato di diritto e i privilegi feudali. Noi Europei del nuovo Millennio, dobbiamo guardare oltre riconoscendoci fratelli al di là dei vecchi rancori.

4 luglio, celebrazione della Dichiarazione di Indipendenza delle colonie d’America dalla madre-Patria britannica. Infausto e sanguinoso spartiacque che ha diviso tra loro per troppi secoli le popolazioni anglosassoni. Al grido “una sola lingua, un solo popolo”, scriviamo finalmente la parola fine su questa assurda vicenda di separazione e odio tra fratelli.

25 dicembre, Natale di Gesù il Nazareno, festa che da più di due millenni celebra la divisione dell’Umanità tra pagani e monoteisti. È giunto il momento dopo tante sofferenze di ricongiungere le nostre coscienze con gli adoratori di Marte, Giove, Minerva e tutti gli Dei dell’Olimpo.

Compiuto questo doveroso percorso di Revisione della Storia, si potrebbe persino azzardare l’abolizione delle ricorrenze che celebrano, nell’ordine: il Diluvio Universale che ha contrapposto i Buoni e i Cattivi, la Deriva dei Continenti, che ha letteralmente messo interi oceani tra una terra emersa e l’altra, sino ad arrivare al Big Bang che ha addirittura separato gli elettroni dai protoni, gettando le fondamenta per questa incredibile èra di divisioni che tutt’ora stiamo attraversando. Si tratta solo di stabilirne le date esatte.

E a proposito di date, venerdì sarò in piazza.

lunedì 21 aprile 2008

No, l'Autocritica no!

Forse Voi-sapete-chi non ha tutti i torti, qualche vecchio vizio radicato e inamovibile la sinistra, qualsiasi cosa sia o fosse, ce l’ha. Da sempre. Primo fra tutti, l’autocritica. Anzi, l'Autocritica. Intendiamoci, uno sguardo attento sulle proprie azioni è sempre auspicabile e il Premier In Pectore dovrebbe procurarsene un poco da qualche parte, ma la pratica dell’autocritica a sinistra ricorda sin troppo le immagini dei flagellanti seminudi in giro per i borghi del medioevo. Non è che non si debba deprimersi, è che non si coglie il problema.

Se in un confronto con qualcuno finisce che le prendo, posso passare il tempo a chiedermi come mai ho perso, oppure posso provare a capire come mai l’altro ha vinto, e NON è affatto la stessa cosa. Per esempio, all’altro potrebbe aver arriso la vittoria indipendentemente da tutti gli errori che ho fatto io, oppure io non ho fatto grandi cazzate, ma il mio avversario era ed è immensamente più forte. Alla formica non serve cercare di capire dove e perché non è riuscita a essere forte come l’elefante. Serve di più che provi a capire cosa rende forte l’elefante e lavorare per minarne le basi.

domenica 20 aprile 2008

Voto e sentimenti

Non credo che i sentimenti, belli o brutti, siano di destra o di sinistra. I sentimenti sono tutti legittimi e non si possono considerare né “giusti” né “sbagliati”. Non credo quindi che aver paura e provare ostilità per chi senti possa costituire una minaccia, possano essere considerati un’anima irrisolta della sinistra, come sembra suggerire Marina nel commento al post “Diritto e ragione”. Non più, per lo meno, di quanto non lo siano del credente, dell’anziano, del giovane, della donna o dell’imprenditore del nord-est, perché ostilità e paura fanno parte dell’anima di ognuno di noi.

Sono le scelte che si compiono a partire dai sentimenti, compresa quella fondamentale di privilegiarne alcuni, ad esempio la paura per sè, rispetto ad altri, ad esempio la solidarietà per i propri simili, che introducono la responsabilità individuale. Ed è di questo che occorre chieder conto a chi ha dato in mano il Paese alla peggior destra che potessimo meritarci, solo per aver imboccato la strada della codardia, che non è l’aver paura, ma la scelta di far pagare le conseguenze della propria paura a tutti gli altri.

E se provassimo a chiamare “sinistra”, al contrario, quella cosa capace di prendere in mano le ansie di milioni di persone, trasformandole in un progetto di crescita per tutti?


il cannocchiale

sabato 19 aprile 2008

Casa nostra e Cosa Nostra

Al primo che vi dice che la Lega ha vinto perché è radicata nel territorio, provate a fargli presente che se è per quello, a Napoli e dintorni, lo è anche la Camorra. Il radicamento non è un valore in sé, è il tipo di valori che si radicano in un territorio che conta. E quelli della Lega si chiamano particolarismo comunitario. Come definire altrimenti chi ogni due per tre usa l’espressione “fuori da casa nostra”, intendendo per “casa propria” un paese, una valle, una regione?

Programma della settimana: ricordare a ogni leghista incontrato che quella che chiama casa sua è anche casa mia, fino a prova contraria. Che lui di Trescore Balneario è di casa a Milano quanto lo sono io a Brembate di sotto. E che non ci provi a mettere paletti e recinzioni, li estirperò personalmente e a mani nude se è necessario.E visto che si siamo, ricorderei agli amici e parenti siciliani, che tra “casa nostra” e Cosa Nostra, c’è solo una differenza di vocale, ma concettualmente sono la medesima cosa e gareggiano entrambe a distruggere il senso delle cose che non sono di nessuno perché sono di tutti.

venerdì 18 aprile 2008

Diritto e ragione

Argomenti che incontreremo, classici dell’ovvio spacciati per verità. Il primo, sentito ieri sera in uno dei ricorrenti dibattiti televisivi, dove se no? L’argomento è questo: se milioni di elettori votano da anni uno stesso leader vuol dire che hanno delle motivazioni, o vogliamo pensare che siano tutti stupidi?
Ecco, esattamente dalla sera del 14 aprile, potrei trovarmi davanti un Elettore Vincente che mi sfida a mettere in discussione la sua intelligenza. Certo, la tentazione è forte, ma quella sfida, in realtà, è diretta alla mia di intelligenza. Un test costruito su una domanda trabocchetto: se rispondo sì, che il suo voto è stato una scelta stupida, praticamente gli accordo il diritto di non dover più giustificare nulla, se rispondo no, che certamente ogni voto è intelligente, ne concluderà che gli do ragione. Fine del dibattito e lasciate lavorare il Capo per i prossimi cinque anni.

Occhio dunque, perché le cose non stanno così.

Il fatto di aver diritto di votare un leader e un governo, non significa automaticamente aver ragione. Un giretto nella storia del ‘900, che a ben vedere coincide con la storia delle democrazie a suffragio universale, è sufficiente per rendersi conto di quante s-ragioni si siano nascoste dietro il voto di milioni di persone, accordato a buon diritto.

Dunque, chi ha votato questa maggioranza, lo ha fatto in piena legittimità, ci mancherebbe, ciò nondimeno potrebbe avere torto. Essere anche gravemente nel torto. Ma se è intelligente, come certamente è, deve trattenersi il dovere di dimostrare il contrario. Tutti i giorni. Tutti i maledetti giorni che ci separano dalla fine di questo nuovo incubo.

mercoledì 16 aprile 2008

Micropolitica dell'Elettore

Sono vent’anni che voto e sono vent’anni che perdo. Lanciai questo grido nel ’96 poco prima di vincere per la prima volta grazie al successo del centrosinistra. Immediatamente dopo mi sono sentito dire che non se ne poteva più che la sinistra dominasse questo Paese. Non ho fatto a tempo ad assaporare l’euforia del successo, che subito mi è piombata addosso l’accusa di non voler mollare il potere. Vinco per la seconda volta dieci anni dopo e mi sento additato nel giro di poco come il principale mandante di tutti i guai dell’Italia.
Del resto è storia antica.
Quando in gioventù militavo nella federazione giovanile del Partito Comunista, venivo accusato di tutte le nefandezze possibili: di essere complice dello stalinismo, di avere sulla coscienza milioni di cambogiani e, insieme, milioni di operai italiani traditi dal revisionismo berlingueriano, di essere l’ispiratore delle Brigate Rosse e del compromesso storico che negava la rivoluzione e consegnava a divinis il potere alla Dc.
Craxi imperante, ero di quelli che non capivano il mondo che cambiava e dovevo portare sulle spalle, appena dismessa quella del sovversivo, la croce del peggior conservatorismo pensabile: il vetero-comunista impantanato nelle pieghe nostalgiche della Storia.
Inizia l’Era Berlusconi e mi ritrovo a indossare i panni dell’ex-comunista che nel profondo del suo animo è ancora il bolscevico trinariciuto della propaganda anni ‘50, o peggio il bollitore di bambini inviato nelle campagne cinesi per migliorare i raccolti.
Ora, a cinquantun’anni suonati, comincio a incazzarmi.

Perché io non sono certo di quelli che si tirano indietro. Però mi sono rotto di assumermi la responsabilità del voto che esprimo, mentre quelli che vincono da quando io perdo, fischiettano facendo finta di niente prima di entrare nella cabina elettorale e ne escono col medesimo atteggiamento. Poi quatti quatti , come alla Corrida dei dilettanti allo sbaraglio, dopo un certo tempo iniziano a fischiare come matti, come se loro non centrassero nulla. Perché questo tipo di elettore, non c’entra mai nulla.

Bene, la festa è finita cari signori. Votare non è come comprare un prodotto al supermercato: lo prendo, lo provo e se fa schifo non lo compro più o magari vado a protestare all’Ufficio Clienti. Votare è una responsabilità, non fosse altro perché chi vota per i vincitori, li impone anche a tutti gli altri.

Ben venga dunque il Governo-Ombra annunciato da Veltroni. Che gli eletti senza responsabilità di governo, tallonino e stiano col fiato sul collo a quelli che invece governeranno. Ma il sottoscritto, dovessi farlo da solo, farà l’Elettore-Ombra richiamando in ogni occasione alle proprie responsabilità chi ha voluto questo governo. Non permetterò a nessuno di nascondere la mano che ha tracciato la croce sul Pdl o sulla Lega. Non permetterò a nessuno di dire non lo sapevo. Non permetterò a nessuno di gongolare di fronte ai disastri che Berlusconi inevitabilmente provocherà, ammantandoli di successi. Non permetterò a nessuno, infine e soprattutto, di comportarsi nella vita di tutti i giorni da berlusconiano o bossiano dichiarato o nascosto, senza chiedergli il conto.

Questo blog per raccontare di volta in volta gli atti del mio impegno micropolitico e per invitare chiunque a farlo proprio.

Igor Salomone