Profilo Fb

venerdì 30 maggio 2008

Xenofobie vicine e lontane

Ho ricevuto questa mail da un'amica che mi ha inoltrato una mail in diretta dall'Africa. Ho chiesto di pubblicarle entrambe. Segue il mio commento.


"Ciao Igor

le notizie (poche) che arrivano dal Sud Africa sono inquietanti. Oltre che essere inquietanti in sè, direi che lo sono anche per le possibili assonanze con gli slogan poco edificanti che girano anche qui in Italia. O, almeno, io appena ho visto il breve servizio sul TG, ho pensato alla nostra situazione di intolleranza crescente.
Certo....qui per fortuna i fucili sono solo nominati, lì, purtroppo, li hanno presi in mano ed utilizzati. Ti passo la mail di mia cugina che vive in Mozambico (uno dei confini "poveri" del Sud Africa), perchè mi sembra giusto condividere una cosa che ci riguarda. Tutti.

Buona giornata, Monica"


"Cara Monica e Cara zia Maria

la violenza xenofoba è scoppiata in Sud Africa contro tutti i lavoratori stranieri provenienti dal Mozambico, dal Malawi, dallo Zimbabwue, dalla Nigeria, dalla Somalia e dal Pakistan etc.
Si tratta di una violenza inaudita. Bande armate distruggono tutto quello che incontrano dalle case alle macchine; picchiano, violentano, uccidono. Si tratta di lavoratori legali che negli anni si sono inseriti nel tessuto sociale accettando i lavori piu' umili e pericolosi (mine).
Il Governo Sud Africano non è riuscito e non riesce ad arginare il problema e quindi tutti si sentono in grave pericolo e tentano con ogni mezzo di rientrare nel loro Paese di origine. In Mozambico sono già rientrati piu' di 50.000. Sono rientrati a mani vuote, hanno perduto tutti i loro averi e anche la loro speranza di sopravvivenza è ridotta al minimo. Sono come un esercito di nuovi disoccupati."



Grazie per aver voluto condividere questo tuo pezzo di storia, Monica. In effetti è inquietante. Tutto è inquietante.

Sono appena tornato dal mio ottico di fiducia. Mentre mi stava sistemando gli occhiali che avevo calpestato, entra un extracomunitario che vuole propinargli il solito servizio non richiesto. Lui gli dice di no e lo congeda pacatamente. Poi si rivolge a me e, sempre in modo pacato, mi dice che "quando è troppo è troppo". E si riferiva a fatti molto concreti: dai tipi che ogni giorno passano dal negozio per questa o quella questua, agli sbandati che si sono accampati in largo Marinai d'Italia, al proliferare dei negozi cinesi e turchi, alla romena che gli confida che i romeni venuti qui sono quelli che sono stati scarcerati là...

Ero in un imbarazzo profondissimo. Cosa potevo dire? Che non era vero? Come si può dire a uno che sta dando voce a un sentimento che alla fine è anche mio, che non è vero? Io posso essere molto più tollerante e disposto a convivere con tutto quello che lui ha elencato, ma non posso dire che sono contento. Anche a me dà fastidio vedere che i miei ristoranti a uno a uno prendono gli occhi a mandorla, passeggiare per strada e sentire il puzzo del kebab, girare con mia figlia per il parco e trovarlo pieno di immondizia ed escrementi. Ho tentato di arginare quel fiume di lamentazioni con battute del tipo "anche gi svizzeri se è per quello quando vengono da noi fanno cose che a casa loro non si permetterebbero", ma mi sentivo ridicolo e del resto l'argomentazione non ha avuto alcun effetto.

No, non si combatte la xenofobia con il moralismo. E sino a che non saprò cosa rispondere al mio ottico di fiducia senza tirare in ballo le splendide analisi sui flussi migratori, la globalizzazione, i processi di pauperizzazione, il disastro ambientale e via filosofeggiando, non credo che potrò nutrire alcuna fiducia nella possibilità che il futuro sia diverso da quello che si sta prospettando.

Un abbraccio
Igor

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ho cenato venerdì sera da una carissima amica di mia moglie, che da circa 3 anni si è messa insieme con un ragazzo egiziano.
Si chiama Snuda, e per me è come un fratello. E’ un uomo meraviglioso, che si alza ogni giorno poco dopo le 5 per andare a lavorare in una fabbrica a Bareggio. Tornato a casa comincia a studiare perché dalle 18 alle 22 segue, dal lunedì al venerdì, un corso biennale gestito dalla Provincia di Milano (che si è pagato al prezzo di circa 4.000 euro) che gli rilascerà l’attestato professionale di idraulico. Nei fine settimana lavora come imbianchino. Ama la sua famiglia originaria con la quale divide unità e condivisione di ogni cosa. Ed ha aperto un’altra famiglia, con la stessa dedizione, qui, in Italia.
Dimenticavo, ha 29 anni ed è laureato in storia. Segni particolari: una callosità permanente sulla spalla sinistra per i pesi che ha portato a braccio lavorando da bambino.
Vi riporto, senza giudizio alcuno da parte mia, il più fedelmente possibile, qualche spezzone della nostra conversazione. Chiaramente chi parla è lui. Ciascuno tragga le proprie conclusioni.

“… l’Italia deve capire che il vero investimento è demografico. Per quanto io mi trovi bene qui, un giorno farò di tutto per tornare a casa mia, nella mia terra e tra la mia gente. E così cercheranno di fare la grande maggioranza degli immigrati che avete qui. Dovete ricominciare ad investire sulla famiglia…”.

“… mi dispiace perché c’è una grossa responsabilità anche nostra nel vostro disagio. L’altro giorno una signora sull’autobus è stata insultata in arabo, perché questo vigliaccamente sapeva che nessuno avrebbe capito. Ma io ho capito. E per quell’insulto nel suo paese avrebbe rischiato la galera. Tenete però conto che gli egiziani che arrivano qui sono del più basso livello sociale e culturale. I cervelli, diplomati o laureati, vanno in Germania, in Francia... Soprattutto, quelli veramente brillanti, vengono presi dall’America, che tiene altissimo il costo dell’istruzione in casa sua (ci guadagna ben sapendo che produrrà poche persone con qualifiche di alto livello), andando poi a reclutare le teste buone all’estero. Li alletta pagandoli molto bene, e, sottraendoli ai paesi di origine si assicura anche un controllo indiretto di queste zone che si trovano deprivate di una grossa fetta di intellettuali…”.

“… qui da voi si corre, si corre sempre. Anche da noi è una battaglia molto dura per sopravvivere, però se chiedi aiuto lo avrai, anche da uno sconosciuto. Qui so che posso contare solo su Dio e su di me…”.

“… la vera libertà non è l’idea di poter fare tutto ciò che si vuole. La libertà è il riconoscimento di due cose: doveri e diritti. Ma per poter poter chiedere fino in fondo i secondi, dovrò aver compiuto i primi fino in fondo…”.

“… la diversità crea subito giudizio. Noi per voi facciamo cose inconcepibili, ma queste vengono dalle nostre usanze, dalla nostra religione e dalla nostra cultura. Quello che per voi è strano, per noi è assolutamente normale e giusto…”.

“… i due grandi obiettivi degli USA sono la Cina e l’Europa. La prima la controlla economicamente. Vuoi che una nazione faccia una guerra proprio contro chi gli sta vendendo i prodotti grazie ai quali si affaccia al benessere? La seconda, e al momento è l’obiettivo primario, siete voi, e cercherà di mettere in ginocchio la vostra economia con il petrolio. Sono finiti i tempi della colonizzazione militare. L’America adesso usa quella economica, creando una dipendenza che la renderà indispensabile, e quindi inattaccabile…”.

Interessante, vero? Lasciando da parte ovvietà quali il fatto che chi si trovi qui e chi arrivi, debba giustamente e necessariamente godere di eguali diritti, sono sempre più convinto che la vera solidarietà, da concertarsi a livello internazionale e non come singola “buona azione”, richiederà l’aumento delle possibilità in loco, nella terra di origine, per coloro che adesso si trovano costretti a cercar fortuna altrove. Altrimenti il disagio di cui parliamo, loro e nostro, permarrà senza soluzione. Esattamente come ora.
E altrettanto non possiamo fingere che questa non sia una delle conseguenze del nostro regime capitalista e di consumi, cui tutti, chi più chi meno, di fatto aderiamo. Ma siamo su di una formula 1 lanciata (occhio ai muretti…) ed è proibito rallentare!
Un saluto a tutti.
Valerio

Anonimo ha detto...

Condivido il commento. Personalmente, so che devo fare attenzione a non idealizzare la "differenza".

Le culture diverse dalla mia mi affascinano da sempre. Quanto mi intrigano quelle minoritarie, in genere, legate alle storie meno macroscopiche, alle biografie personali e familiari.

Ma qui si tratta di povertà estreme che nascono dentro i confini e fuori. E, di ricchezzze potenziali. E di un divario crescente tra cio' che si vorrebbe poter avere (ed essere) e cio' che si puo' essere nel concreto.

Credo due cose, primo che abbiamo bisogno una isione globale (anche dal punto di vista economico) e, secondo, di proposte concrete percorribili per migliorare la situazione, in Europa, in Africa, come in Cina e in America.
Paola

Anonimo ha detto...

Credo il problema "invasione" da contenere rispetto ai numeri di persone che si spostano dai paesi del sud del mondo vada affrontato attraverso sia un discorso di ordine pubblico ma anche con una Cooperazione internazionale che aiuti le persone a rimanere nei propri paesi.

Non parlo naturalmente di chi si posta per studiare. Ma dei disperati, che magari sono a rischio di finire come manovalanza sfruttata o peggio.

Non si tratta di altruismo, quindi, ma di scelte, ad un certo livello, assolutamente egoistiche e razionali. Vogliamo lontano da noi i disperati? Perlomeno aiutiamoli a starci.

Altro campo poco percorso, nonostante molte parole e ideologie: l'integrazione.

Come padre, cio' che mi inquieta è vedere alcuni compagni di scuola di origine straniera di mio figlio che non partecipano alla festa di fine anno, i genitori che non salutano (e non sono gli unici, mi piacerebbe poi capire perchè sono uno dei pochi genitori che si degna di salutare quando entro a Scuola a prendere mio figlio!!!), che non entrano nel giro delle feste di compleanno, come se vivessero in un mondo completamente a parte.

Per lavoro conosco un discreto numero di persone, uomini nord e sud-africani che lasciano le compagne "a casa", e, poi, fanno lo stesso con i loro figli. Cosa rappresenta il nostro paese per loro? Perchè le donne e i bambini non ci sono? A noi paesi ricchi questa cosa "conviene"?

A seconda della risposta, possiamo lavorare per l'integrazione oppure no. Possiamo chiedergli come mai non portano con loro le compagne oppure essere lieti di non avere un extracomunitaio in più.

Io credo che, per disinnescare una possibile ondata xenofoba, si dovrebbe cercare di fare degli sforzi maggiori e per integrarci (noi e loro).

E, anche qui, non perchè siamo "buoni" ma per renderci puù simili, per condividere un livello di "umanità" che dev'essere garantito e che garantisce, a mio avviso, di spostare "la notte più in là".

Marco

Anonimo ha detto...

Ho sentito ieri pomerggio un'intervista a Don Gino Rigoldi, aproposito dei Rom.
Era in sintonia con il messaggio precedente: cioè se vogliamo fermare l'ondata indiscrimonata (e forse talvolta favorita anche dai Paesi di origine come per la Romania e Albania) dovremo anche fare qualcosa perchè trovino qualcosa nei loro paesi: che siano una casa, un lavoro, un campo da coltivare, un mestiere da imparare, un progetto di vita, insomma, che passi da cose concrete.
Lia