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domenica 1 giugno 2008

L'occupazione dello spazio


In un bellissimo libro di Piero Zannini sul significato dei confini si dice che per vantare un diritto rispetto ad un luogo, un territorio bisogna primariamente occuparlo, questo è il primo atto che si compie per poter tracciare successivamente un confine di qualsiasi tipo. Insomma, per poter vantare una qualche aspettativa "su uno spazio illimitato" bisogna metterci dentro i piedi, intrufolarsi al suo interno, prendere possesso, occuparne un ambito. Questa occupazione, questo possesso non è solo spaziale, ma anche sociale, politico, mentale. Un territorio in questo modo è pubblico per la tribù che vi risiede, ma è considerato privato per tutti gli altri, così come una casa è proprieta di tutti i familiari che ci convivono, ma è privata per gli estranei.

Nel proprio spazio, ognuno inventa dei suoi modi di abitare che si consolidano e si perpetuano nel tempo, e queste abitudini danno un senso di familiarità che ci permette di sentirci a nostro agio quando ci muoviamo nella nostra casa, nel nostro quartiere, nella nostra città.
Quando arriva qualcun altro appartenente ad un’altra famiglia o ad un’altra tribù porta con sé non solo colori della pelle, carnagioni e culture diverse, ma anche modi differenti di abitare il nostro spazio. La linea di confine tra differenza ed invasività è molto sottile, soprattutto quando è esibita sotto i nostri occhi e forse questo è uno dei motivi alla base del fastidio di cui parla Igor e che appartiene a tutti, indipendentemente dal colore politico. Forse non abbiamo ancora imparato a interagire con modi diversi di abitare il nostro spazio e ci sentiamo sopraffatti ed accerchiati.

Inoltre, credo che in questi tempi incerti, a volte, viviamo il nostro territorio come una terra di nessuno.
La terra di nessuno si crea quando la percezione tra esterno ed interno si attenua o scompare del tutto, il dentro ed il fuori non sono più dimensioni percepibili, non c’è un interno da proteggere e custodire, di conseguenza non ci sono porte da varcare. Una porta simbolica o concreta separa il dentro dal fuori, istituisce anche una serie di rituali preziosi sia per chi accoglie, sia per chi chiede di essere accolto. Coloro che accolgono si preparano a ricevere l’ospite con un saluto, aiutandolo a sentirsi a proprio agio, accompagnandolo a visitare il luogo, facendolo accomodare, offrendogli da bere o da mangiare. Coloro che chiedono di essere accolti, invece, bussano alla porta, aspettano che venga loro aperto, chiedono permesso ed attendono di essere invitati. Tutta una serie di rituali che creano un’atmosfera di reciproca accoglienza ed ospitalità.

Nella terra di nessuno non ci sono porte da varcare o da aprire, per cui i rituali non vengono rispettati, i confini che delimitano lo spazio proprio da quello altrui saltano, i luoghi diventano spazi aperti di cui appropriarsi e da difendere con la forza. Non importa che la forza sia esercitata dall’espropriante o dall’espropriatore, e che si esprima in mille modi, dall’insofferenza, al rifiuto, all’aggressione come i fatti di Napoli e del Pigneto di Roma ci ricordano, ciò che conta è che “la psiche” dell’incontro tra diversità non riesca ad uscire da uno stadio primitivo.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Noi non ci conosciamo e, a proposito di terre condivise, e non di nessuno: mi presento, mi chiamo Marco, faccio un lavoro non sociale, nè educativo professionale. Sono padre, quindi mi occupo di educazione "naturale" (credo si dica così).
E poi sono un elettore (in) ombra.
Suo malgrado, e tengo a precisarlo.
Volevo dire che la mia inquietudine sale insieme alla stanchezza pevacanziera e con lei, parallelamente, il senso di nausea....nonostante la fiducia data a Veltroni senza turamenti di naso....mi sembra un gioco al ribasso, non ho ancora ben capito che fine farà il decreto impunità delle alte cariche dello stato.
Allora: se un dipendente nullafacente o assenteista dei Ministeri (entità per me mitologica) viene "beccato" (a proposito, non basterebbe fare i controlli seriamente anzichè inventarsi altre norme nuove?) viene giustamente punito. Se lo stesso compie un reato penale, oltre al posto di lavoro, si aprirà un procedimento giudiziario. OK, ma allora perchè se lo fa il Presidente del Consiglio o il Presidente della Repubblica, insomma il "Capo" cio' non deve valere....?!
Ma allora propongo che se mia figlia non fa i compiti non guarda la tivù, se mena un compagno salta la gita mentre se io passo col rosso non mi tolgono i punti dalla patente, anzi: magari mi danno pure un bonus.
Marco

Anonimo ha detto...

In realtà il mio non è un commento...ma il tentativo di riannodare un filo....ieri sera, finalmente, ho visto in tv (su Sky TG 24) un'intervista a Veltroni su Alitalia.
Ho pensato he era ora si facesse sentire: al solito ha detto cose sensate e le ha dette anche bene. In questo tempo di "assenza" televisiva avrà sicuaramente fatto altro....ma credo dovrebbe far vedere e sentire di più cio' che fa.
Cosa fanno i suoi addetti alla cumicazione???
Monica

nadia ha detto...

VUOTI PEDAGOGISMI

Difficilmente oggi sia tra gli addetti che tra i non addetti e gli utenti del sistema formativo scolastico (a partire da quella dell’infanzia seppure ancora non obbligatoria), si potrebbe trovare chi neghi l’importanza dell’educazione. Una conferma importante viene dalle preoccupazioni dei genitori e dell’opinione pubblica in generale sulle derive di comportamento delle nuove generazioni che vanno dall’oramai abusato fenomeno del “bullismo”, alla pratica dell’uso di alcool e di droghe in precoci età ecc…
La scuola è in crisi non riesce più a governare… a dare risposte… a contenere …ad educare… ma se cambiare a valle oramai è impossibile, cambiare a monte con ottica preventiva è difficile, richiede convinzione, convenienza, speranze per il futuro, investimenti sulla scuola e sui sistemi formativi. Richiede perciò una profonda opera di trasformazione culturale che investa le persone, le istituzioni, il mercato, la politica e l’educazione.
Il sapere si fa complesso necessita un pensiero che unisce, che costruisce strutture di connessione tra i vari campi specifici della conoscenza, questo sistema formativo implica un approccio alla complessità dei problemi di tipo non solo interdisciplinare ma anche sistemico volto a perseguire obbiettivi non solo cognitivi. Emerge la domanda di nuove identità e linguaggi che riscoprano il valore delle emozioni, delle intuizioni e della creatività. Infatti anche se le conoscenze costituiscono il necessario supporto, queste si collocano in un circuito più virtuoso di esperienze e comportamenti che mette in primo piano i valori e gli atteggiamenti dei soggetti coinvolti e quindi la loro dimensione più individuale e sociale.
L’apprendimento diventa, o meglio forse è sempre stato, un processo invidiale, originale e misterioso, sconosciuto dall’insegnante che può, anzi deve, individualizzare i processi. Muore la metafora dell’imbuto di…………. In cui il maestro può con una certa tranquillità versare direttamente il sapere che lui detiene nella testa di tanti allievi, tutti insieme! Fregandosene dei processi individuali, di chi ha imparato e chi no e fare sonni tranquilli.

In questi ultimi anni di ricerca sul ruolo della Scuola e della Cultura si trasforma non solo il ruolo degli studenti ma anche quello degli insegnanti: che da trasmettitori di un sapere neutro e dogmatico divengono presenze esperte e di riferimento che sollecitano, partendo da esperienze concrete, riflessioni e curiosità conoscitive, mettono in crisi le preconcezioni degli allievi, anzi di ogni allievo, e le certezze acquisite, problematizzando i risultati conseguiti e ricercando di volta in volta, INSIEME AGLI STUDENTI, modelli interpretativi di approccio multidimensionale alla realtà.

“PREVEDERE L’IMPREVEDIBILE” diviene la nova scommessa formativa e imparare a “capire la complessità, che è funzione della diversità, il cui grado estremo è l’unicità di ciascun soggetto” (Laura Conti)

Rifondare i saperi alla luce di queste nuove categorie significa dare concretezza, attraverso percorsi formativi che attivino processi lunghi e lenti di elaborazione dell’esperienza, volti a sviluppare responsabilità individuali e collettive che rendano praticabile un’educazione al futuro fondata sulla coscienza del limite e sulla solidarietà di specie.

E’ agendo sui sistemi di conoscenza e di valori che si potrà sperare di trovare soluzioni adeguate ma soprattutto i comportamenti non potranno cambiare in modo profondo finché la maggioranza dei membri di una società non avrà liberamente e coscientemente interiorizzato dei valori positivi, valori che costituiranno il fondamento di una auto disciplina.
Il concetto di educazione perciò si estende per tutta la vita e per tutti, insegnanti compresi, considerata come una base privilegiata per l’elaborazione di nuovi stili di vita.

In questa ottica ovviamente l’organizzazione della scuola non è solo una cornice, ma un contesto che CONDIZIONA direttamente l’acquisizione di conoscenze, comportamenti, atteggiamenti….

Ci credete? Io ci ho creduto! Per trent’anni ho lavorato cercando di attuare i principi sopra enunciati. Trent’anni di lavoro anche molto soddisfacente in cui le chiavi di lettura e di valutazione del mio operare erano: la coerenza, la complessità, la ricerca. Trent’anni di lavoro certo non esente da fatica.
La Gelmini ha definito quelli come me insegnanti ex sessantottini con i loro vuoti pedagogismi. Ed è stata per me un offesa mortale! Non solo perché nel sessant’otto ero un’allieva e come me la maggior parte degli insegnanti di oggi, ma soprattutto perché ha definito il periodo d’oro della scuola, in cui la partecipazione della società in tutte le sue forme è stata determinante per l’evoluzione del pensiero sulla conoscenza, come uno spazio abitato da pedagogismi.

Trent’anni di lavoro in cui, specialmente negli ultimi, riforma dopo riforma, controriforma dopo controriforma, taglio dopo taglio, le condizioni di lavoro nella scuola sono andate via via peggiorando sino ad arrivare ad oggi dove a fronte delle competenze e delle eccellenze che richiede alla scuola la società e il periodo storico e culturale le proposte della neo eletta classe politica sono:
• Maestro unico (legge 133): già la commissione che stilò i programmi dell’85, introdusse nella relazione finale che finalità educative di quella complessità non potevano essere gestiti da un unico maestro. Il maestro unico ha funzionato per i programmi del 55 in cui l’obbiettivo era l’alfabetizzatone.
• Dismissione del tempo pieno: il tempo pieno è diverso dal tempo scuola, il tempo pieno è un modulo pedagogico che prevede due insegnanti per classe con un periodo di compresenza in cui è possibile dividere i bambini in gruppi di ricerca… d’interesse ecc. Come si diceva prima il tempo pieno svolgendosi su un orario settimanale di 40 ore garantisce quella cornice organizzativa di modo che gli apprendimenti siano individualizzati e si modulino su percorsi lunghi e processi di elaborazione. Nel tempo pieno, per esempio, anche il pasto avviene in presenza delle insegnanti di classe ed è considerato momento educativo. Ma il tempo pieno significa specialmente che nella classe ci sono due insegnanti statali e titolari che hanno con i bambini un rapporto continuativo e costruttivo, NON SPEZZETTATO! Questo modello di scuola modello ci è invidiato in tutta Europa. Il “tempo scuola” è invece la scuola garantita per 24 ore al mattino e poi il decreto prevede che al di fuori delle 24 ore , singolarmente, le famiglie possano richiedere un “ampliamento” di orario. Gestito come? Un ritorno al famigerato doposcuola comunale? Al padronato scolastico? Un allungamento di orario da parte delle insegnanti statali? Altro?... mah! Tutto è ancora da definire, per ora si è tolto poi quello che si farà è ancora mistero. La ministra Gelmini sostiene tra l’altro la necessità del ritorno alla figura unica di maestro come riferimento, quando in realtà si formeranno delle classi “spezzatino” (già presenti oggi nella scuola grazie ai tagli di organico effettuati) e cioè classi in cui le insegnanti a rotazione andranno a coprire i buchi che il maestro unico lascerà scoperti, praticamente tutti i pomeriggi. O i dopo scuola. Prevedibilmente il caos aumenterà.
• Si prevede la possibilità di trasformare le singole scuole pubbliche statali in “fondazioni” (proposta di legge Aprea), si prevede la trasformazione degli organi collegiali e cioè dei consigli di Circolo e d’Istituito in consigli d’Amministrazione di cui potrebbero far parte privati che potrebbero condizionare didattiche e programmi, istituire tasse ecc.. , si prevede la possibilità del Dirigente di assumere direttamente le insegnanti, si prevedono concorsi indetti dalle singole scuole che legalizzerebbero clientelismi e segnerebbero la fine della libertà d’insegnamento, e per finire si prevedono aumenti di stipendio anche per l’anzianità di carriera solo per pochi insegnanti legati al giudizio annuale del dirigente e dei “colleghi esperti” (vi lascio solo immaginare il conflitto d’interesse che si creerebbe tra le insegnanti e l’adesione alla volontà del dirigente fenomeno già molto diffuso oggi nella scuola nonostante non contempli alcun privilegio…) si prevede poi la scomparsa delle rappresentanze sindacali: abolizione del contratto collettivo nazionale di lavoro e determinazione per legge di tutte le materie che riguardano le insegnanti (orari di lavoro, diritti come per esempio la malattia, ecc…). Via tutte le tutele!

Ma sopratutto nella famigerata legge 133 si prevede la soppressione di 87.000 posti d’insegnamento e 43.000 posti di personale ATA (bidelli, segretarie ecc…) nel 2009 e la stessa legge introduce i tagli recitando: “nell’ambito degli obbiettivi di contenimento della spesa pubblica…”, allora è questa la verità? Ce l’ha detta Tremonti alla televisione “la scuola italiana è una scuola d’eccellenza ma noi non possiamo permettercela”. !!!

Ma anche questa purtroppo è una mezza verità, resta pur sempre una mezza verità perché assieme al bisogno di risparmiare la spesa pubblica si passa un modello di scuola vecchio e per certi versi inquietante, con tutte le conseguenze d’ignoranza per il futuro che ne deriveranno… se a tutto questo aggiungete l’uso obbligatorio del grembiule, il “5” in condotta… il puzzle si compone.

Io credo che non siamo di fronte allo smantellamento della scuola pubblica a favore della privata e nemmeno allo smantellamento della scuola… e questa non è solo una questione di posti è soprattutto una questione di democrazia.

Nadia

PS: Ovviamente come avrete capito sono un insegnante ma anche un genitore.