Profilo Fb

mercoledì 30 aprile 2008

Sicurezza, sicurezza, primavera di bellezza...

Ecco, ci siamo, finalmente potremo affrontare di petto la questione Sicurezza! Chiederci cosa abbiamo sbagliato, cosa non abbiamo capito, cosa non abbiamo saputo vedere. Insomma, sulla Sicurezza eserciteremo l’Autocritica (vedi “No, l’Autocritica no!”) e ci batteremo il petto, pentiti. Oddio, magari molti si batteranno il petto additando (vedi “Additare e Indicare”) i propri vicini come i principali responsabili. Ma fa lo stesso.

Volendo però evitare di incorrere nello stesso vizio, additare gli additatori è privo di senso, mi sforzerò di indicare qualche questioncina a mio parere rilevante ma sfuggente. Ad esempio, così, per iniziare, quando parliamo di Sicurezza, di cosa stiamo parlando? La riposta più diffusa è che si tratti di un bisogno. E il non aver capito che è un bisogno in rapida crescita, un errore fatale. Forse.

Proverei ad avanzare un’ipotesi alternativa: ciò che rischia di essere fatale è non aver capito che il valore Sicurezza è in caduta libera. I bisogni sono sempre una trappola e tendono a imporsi gli uni contro gli altri. Ovunque qualcuno tenti di soddisfare i propri bisogni di sicurezza, non fa che spostare l’insicurezza sui propri vicini. Se la sicurezza è un valore, invece, occorre che ognuno si faccia carico non della propria, ma della sicurezza dell’Altro. Troppo buonista? Consiglio la visione di un qualsiasi film di guerra: la maggior parte finisce prima o poi col dire che ogni soldato combatte per la vita del compagno al proprio fianco. E che questo è l’unico modo, per tutti, di garantirsi una chance di sopravvivenza.

Magari è una metafora che funziona anche per riattivare l’intelligenza dei destri.

sabato 26 aprile 2008

Additare e indicare: oltre il vizio del grillismo

C’è qualcosa che sottilmente accomuna fenomeni apparentemente lontani tra loro. Le invettive neoqualunquiste contro partiti, caste varie, poteri assortiti che provengono assomigliandosi dalla Lega come dalle piazze-palcoscenico dei comici-predicatori, dalla volgarità di Libero come dalle dotte analisi di certi intellettuali alla Sapelli, intervistato oggi dall’Unità, appartengono tutte al grande fronte del grillismo. Ovvero di quel costume estremamente diffuso nella nostra cultura che potremmo definire dell’additare.

Puntare l’indice su qualsiasi cosa facendola a pezzi vuoi con le peggio parole, vuoi con analisi sottili, è il modo più semplice, per chiunque, di sembrare intelligente. Tutti amiamo sentirci intelligenti, nel senso che l’intelligenza resta ancora un valore assolutamente condiviso e una virtù della quale nessuno vuole essere privato. L’intelligenza però è una pratica faticosa, quindi ognuno va in cerca di ogni scorciatoia possibile, e l’additamento è la regina delle scorciatoie.

Additare vuol dire essenzialmente sottolineare ciò che è sbagliato, brutto, ingiusto, inefficace, negativo. E dato che per ogni scelta possibile, il numero degli errori in agguato è sempre di gran lunga superiore a quello dei successi concreti, ovvio che l’esercizio dell’additamento costituisca una facilissima strada per il successo cognitivo. “Visto? L’avevo detto!!” costituisce generalmente il premio più facile da riscuotere.

Se vogliamo avere una qualche possibilità di incidere sulla trasformazione della cultura di questo Paese, invece, credo dobbiamo imparare collettivamente l’uso dell’indicare. Ovvero praticare la speciale virtù del puntare l’indice verso un orizzonte, un obiettivo e una o più strade per raggiungerlo, o almeno per provarci.

Anche per questo ringrazio ancora una volta Veltroni. Non importa se ogni tanto o anche spesso si sia concesso e si conceda anche lui di additare. Quel che conta è che nel panorama politico nostrano è l’unico ad aver mostrato la capacità di indicare una strada da percorrere. Che tutti i suoi critici, con uno sforzo di umiltà, ci si provino a praticare la medesima virtù.

venerdì 25 aprile 2008

25 aprile: liberare la Testa dell’Elettore Vincente

Oggi credo di aver finalmente colto un tratto psicologico essenziale dell’Elettore Vincente. E mi sembra il giorno giusto, del resto. Ho inviato un sms collettivo per ricordare il 25 aprile e qualcuno, in risposta, ha balbettato qualcosa attorno ai partigiani che ci sarebbe molto da dire e che certo la Liberazione, ringraziamo gli Alleati che ci hanno salvato e comunque che lui ragiona con la sua testa! Quella del ragionare con la propria testa è una rivendicazione accorata che ho incontrato parecchie volte. Di solito pronunciata da chi, esclamandola, vuole chiuderla con le tue argomentazioni mettendoti a tacere. L’Elettore Vincente, a maggior ragione ora che ha vinto, sembra dire guarda che non mi incanti più con i soliti discorsi triti e ritriti della cultura comunista dominante, sono un sacco di palle con le quali ci hanno riempito per anni la testa, ma ora la mia è libera e pensa per conto suo, mentre la tua continua a essere imbesuita da quello che (quelli) ti vogliono fare credere. Segue di solito l’invito perentorio a svegliarsi e a crescere.

Ecco con chi abbiamo a che fare: con qualcuno convinto di essersi finalmente liberato dall’Oppressione. Ovvio che il 25 aprile gli interessi poco, si sta preparando a celebrare il 14 di aprile come giorno della Liberazione. Non importa se la prima schiavitù dalla quale si trova liberato è quella dell’intelligenza. Perché è proprio l’intelligenza la vittima sacrificale destinata ad essere immolata. Non l’intelligenza intesa come facoltà, ma come volontà di capire. Una volontà azzerata dalla convinzione ferrea di aver improvvisamente capito tutto, dimodochè si possa chiudere ogni discorso, perché appunto non c’è bisogno di capire più nulla. Questo, al fondo, è il senso celato dietro le parole veementi di chi ti rinfaccia di “ragionare con la propria testa”

Dunque è da qui che partirò per capire cosa voglia dire oggi Resistenza. Vuol dire, ancora una volta, opporsi alla notte della mente. Vuol dire ingaggiare battaglia strada per strada, casa per casa, ufficio per ufficio, costringendo chi si vanta di ragionare con la propria testa a farlo sul serio, cioè a ragionare liberamente con me, impedendogli di rinchiudersi nella propria testa, come se anch’io non ne avessi una degna di incontrare la sua.

E se scapperà, lo rincorrerò dandogli del codardo, giusto per sottolineare che oltre ad avere una testa autonoma ma del tutto inutile, non ha neppure il fegato di confrontarsi lealmente con chi non la pensa come lui.

Come ho risposto a un altro sms che raccomandava di celebrare il 25 aprile per non dimenticare, non so se si tratti di non dimenticare o di non dimenticarsi di portare a termine un lavoro, la Liberazione, iniziato gloriosamente 63 anni fa, ma non ancora terminato.

mercoledì 23 aprile 2008

"Bella ciao" goodbye!

Era ora finalmente: liberiamoci della Liberazione! O quanto meno di quella sua celebrazione il 25 aprile che da 60 anni divide gli Italiani tra quelli che hanno creduto, hanno combattuto e in qualche caso sono persino morti per la democrazia e gli altri che invece la democrazia l’avevano seppellita sotto le leggi speciali, quelle razziali, le guerre, i bombardamenti, i rastrellamenti, le fucilazioni, i campi di sterminio. È ora di finirla con le feste che dividono. È ora di ricomporre l’Unità Nazionale.

L’idea mi pare talmente buona da essere applicata ad altri miti fondativi oramai, diciamolo, obsoleti e altrettanto perniciosi quanto alla divisione delle coscienze. Saltando a piè pari la Rivoluzione d’Ottobre, chè tanto quella è stata già abbondantemente rimossa dalla Storia, proporrei la seguente scaletta abolizionista:

14 luglio, Presa della Bastiglia, ricorrenza della Rivoluzione Francese, data che segna la non più sostenibile frattura tra la Modernità e l’Ancien Regime, tra l’Europa dei ceti produttivi e l’Aristocrazia, tra lo Stato di diritto e i privilegi feudali. Noi Europei del nuovo Millennio, dobbiamo guardare oltre riconoscendoci fratelli al di là dei vecchi rancori.

4 luglio, celebrazione della Dichiarazione di Indipendenza delle colonie d’America dalla madre-Patria britannica. Infausto e sanguinoso spartiacque che ha diviso tra loro per troppi secoli le popolazioni anglosassoni. Al grido “una sola lingua, un solo popolo”, scriviamo finalmente la parola fine su questa assurda vicenda di separazione e odio tra fratelli.

25 dicembre, Natale di Gesù il Nazareno, festa che da più di due millenni celebra la divisione dell’Umanità tra pagani e monoteisti. È giunto il momento dopo tante sofferenze di ricongiungere le nostre coscienze con gli adoratori di Marte, Giove, Minerva e tutti gli Dei dell’Olimpo.

Compiuto questo doveroso percorso di Revisione della Storia, si potrebbe persino azzardare l’abolizione delle ricorrenze che celebrano, nell’ordine: il Diluvio Universale che ha contrapposto i Buoni e i Cattivi, la Deriva dei Continenti, che ha letteralmente messo interi oceani tra una terra emersa e l’altra, sino ad arrivare al Big Bang che ha addirittura separato gli elettroni dai protoni, gettando le fondamenta per questa incredibile èra di divisioni che tutt’ora stiamo attraversando. Si tratta solo di stabilirne le date esatte.

E a proposito di date, venerdì sarò in piazza.

lunedì 21 aprile 2008

No, l'Autocritica no!

Forse Voi-sapete-chi non ha tutti i torti, qualche vecchio vizio radicato e inamovibile la sinistra, qualsiasi cosa sia o fosse, ce l’ha. Da sempre. Primo fra tutti, l’autocritica. Anzi, l'Autocritica. Intendiamoci, uno sguardo attento sulle proprie azioni è sempre auspicabile e il Premier In Pectore dovrebbe procurarsene un poco da qualche parte, ma la pratica dell’autocritica a sinistra ricorda sin troppo le immagini dei flagellanti seminudi in giro per i borghi del medioevo. Non è che non si debba deprimersi, è che non si coglie il problema.

Se in un confronto con qualcuno finisce che le prendo, posso passare il tempo a chiedermi come mai ho perso, oppure posso provare a capire come mai l’altro ha vinto, e NON è affatto la stessa cosa. Per esempio, all’altro potrebbe aver arriso la vittoria indipendentemente da tutti gli errori che ho fatto io, oppure io non ho fatto grandi cazzate, ma il mio avversario era ed è immensamente più forte. Alla formica non serve cercare di capire dove e perché non è riuscita a essere forte come l’elefante. Serve di più che provi a capire cosa rende forte l’elefante e lavorare per minarne le basi.

domenica 20 aprile 2008

Voto e sentimenti

Non credo che i sentimenti, belli o brutti, siano di destra o di sinistra. I sentimenti sono tutti legittimi e non si possono considerare né “giusti” né “sbagliati”. Non credo quindi che aver paura e provare ostilità per chi senti possa costituire una minaccia, possano essere considerati un’anima irrisolta della sinistra, come sembra suggerire Marina nel commento al post “Diritto e ragione”. Non più, per lo meno, di quanto non lo siano del credente, dell’anziano, del giovane, della donna o dell’imprenditore del nord-est, perché ostilità e paura fanno parte dell’anima di ognuno di noi.

Sono le scelte che si compiono a partire dai sentimenti, compresa quella fondamentale di privilegiarne alcuni, ad esempio la paura per sè, rispetto ad altri, ad esempio la solidarietà per i propri simili, che introducono la responsabilità individuale. Ed è di questo che occorre chieder conto a chi ha dato in mano il Paese alla peggior destra che potessimo meritarci, solo per aver imboccato la strada della codardia, che non è l’aver paura, ma la scelta di far pagare le conseguenze della propria paura a tutti gli altri.

E se provassimo a chiamare “sinistra”, al contrario, quella cosa capace di prendere in mano le ansie di milioni di persone, trasformandole in un progetto di crescita per tutti?


il cannocchiale

sabato 19 aprile 2008

Casa nostra e Cosa Nostra

Al primo che vi dice che la Lega ha vinto perché è radicata nel territorio, provate a fargli presente che se è per quello, a Napoli e dintorni, lo è anche la Camorra. Il radicamento non è un valore in sé, è il tipo di valori che si radicano in un territorio che conta. E quelli della Lega si chiamano particolarismo comunitario. Come definire altrimenti chi ogni due per tre usa l’espressione “fuori da casa nostra”, intendendo per “casa propria” un paese, una valle, una regione?

Programma della settimana: ricordare a ogni leghista incontrato che quella che chiama casa sua è anche casa mia, fino a prova contraria. Che lui di Trescore Balneario è di casa a Milano quanto lo sono io a Brembate di sotto. E che non ci provi a mettere paletti e recinzioni, li estirperò personalmente e a mani nude se è necessario.E visto che si siamo, ricorderei agli amici e parenti siciliani, che tra “casa nostra” e Cosa Nostra, c’è solo una differenza di vocale, ma concettualmente sono la medesima cosa e gareggiano entrambe a distruggere il senso delle cose che non sono di nessuno perché sono di tutti.

venerdì 18 aprile 2008

Diritto e ragione

Argomenti che incontreremo, classici dell’ovvio spacciati per verità. Il primo, sentito ieri sera in uno dei ricorrenti dibattiti televisivi, dove se no? L’argomento è questo: se milioni di elettori votano da anni uno stesso leader vuol dire che hanno delle motivazioni, o vogliamo pensare che siano tutti stupidi?
Ecco, esattamente dalla sera del 14 aprile, potrei trovarmi davanti un Elettore Vincente che mi sfida a mettere in discussione la sua intelligenza. Certo, la tentazione è forte, ma quella sfida, in realtà, è diretta alla mia di intelligenza. Un test costruito su una domanda trabocchetto: se rispondo sì, che il suo voto è stato una scelta stupida, praticamente gli accordo il diritto di non dover più giustificare nulla, se rispondo no, che certamente ogni voto è intelligente, ne concluderà che gli do ragione. Fine del dibattito e lasciate lavorare il Capo per i prossimi cinque anni.

Occhio dunque, perché le cose non stanno così.

Il fatto di aver diritto di votare un leader e un governo, non significa automaticamente aver ragione. Un giretto nella storia del ‘900, che a ben vedere coincide con la storia delle democrazie a suffragio universale, è sufficiente per rendersi conto di quante s-ragioni si siano nascoste dietro il voto di milioni di persone, accordato a buon diritto.

Dunque, chi ha votato questa maggioranza, lo ha fatto in piena legittimità, ci mancherebbe, ciò nondimeno potrebbe avere torto. Essere anche gravemente nel torto. Ma se è intelligente, come certamente è, deve trattenersi il dovere di dimostrare il contrario. Tutti i giorni. Tutti i maledetti giorni che ci separano dalla fine di questo nuovo incubo.

mercoledì 16 aprile 2008

Micropolitica dell'Elettore

Sono vent’anni che voto e sono vent’anni che perdo. Lanciai questo grido nel ’96 poco prima di vincere per la prima volta grazie al successo del centrosinistra. Immediatamente dopo mi sono sentito dire che non se ne poteva più che la sinistra dominasse questo Paese. Non ho fatto a tempo ad assaporare l’euforia del successo, che subito mi è piombata addosso l’accusa di non voler mollare il potere. Vinco per la seconda volta dieci anni dopo e mi sento additato nel giro di poco come il principale mandante di tutti i guai dell’Italia.
Del resto è storia antica.
Quando in gioventù militavo nella federazione giovanile del Partito Comunista, venivo accusato di tutte le nefandezze possibili: di essere complice dello stalinismo, di avere sulla coscienza milioni di cambogiani e, insieme, milioni di operai italiani traditi dal revisionismo berlingueriano, di essere l’ispiratore delle Brigate Rosse e del compromesso storico che negava la rivoluzione e consegnava a divinis il potere alla Dc.
Craxi imperante, ero di quelli che non capivano il mondo che cambiava e dovevo portare sulle spalle, appena dismessa quella del sovversivo, la croce del peggior conservatorismo pensabile: il vetero-comunista impantanato nelle pieghe nostalgiche della Storia.
Inizia l’Era Berlusconi e mi ritrovo a indossare i panni dell’ex-comunista che nel profondo del suo animo è ancora il bolscevico trinariciuto della propaganda anni ‘50, o peggio il bollitore di bambini inviato nelle campagne cinesi per migliorare i raccolti.
Ora, a cinquantun’anni suonati, comincio a incazzarmi.

Perché io non sono certo di quelli che si tirano indietro. Però mi sono rotto di assumermi la responsabilità del voto che esprimo, mentre quelli che vincono da quando io perdo, fischiettano facendo finta di niente prima di entrare nella cabina elettorale e ne escono col medesimo atteggiamento. Poi quatti quatti , come alla Corrida dei dilettanti allo sbaraglio, dopo un certo tempo iniziano a fischiare come matti, come se loro non centrassero nulla. Perché questo tipo di elettore, non c’entra mai nulla.

Bene, la festa è finita cari signori. Votare non è come comprare un prodotto al supermercato: lo prendo, lo provo e se fa schifo non lo compro più o magari vado a protestare all’Ufficio Clienti. Votare è una responsabilità, non fosse altro perché chi vota per i vincitori, li impone anche a tutti gli altri.

Ben venga dunque il Governo-Ombra annunciato da Veltroni. Che gli eletti senza responsabilità di governo, tallonino e stiano col fiato sul collo a quelli che invece governeranno. Ma il sottoscritto, dovessi farlo da solo, farà l’Elettore-Ombra richiamando in ogni occasione alle proprie responsabilità chi ha voluto questo governo. Non permetterò a nessuno di nascondere la mano che ha tracciato la croce sul Pdl o sulla Lega. Non permetterò a nessuno di dire non lo sapevo. Non permetterò a nessuno di gongolare di fronte ai disastri che Berlusconi inevitabilmente provocherà, ammantandoli di successi. Non permetterò a nessuno, infine e soprattutto, di comportarsi nella vita di tutti i giorni da berlusconiano o bossiano dichiarato o nascosto, senza chiedergli il conto.

Questo blog per raccontare di volta in volta gli atti del mio impegno micropolitico e per invitare chiunque a farlo proprio.

Igor Salomone