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lunedì 21 aprile 2008

No, l'Autocritica no!

Forse Voi-sapete-chi non ha tutti i torti, qualche vecchio vizio radicato e inamovibile la sinistra, qualsiasi cosa sia o fosse, ce l’ha. Da sempre. Primo fra tutti, l’autocritica. Anzi, l'Autocritica. Intendiamoci, uno sguardo attento sulle proprie azioni è sempre auspicabile e il Premier In Pectore dovrebbe procurarsene un poco da qualche parte, ma la pratica dell’autocritica a sinistra ricorda sin troppo le immagini dei flagellanti seminudi in giro per i borghi del medioevo. Non è che non si debba deprimersi, è che non si coglie il problema.

Se in un confronto con qualcuno finisce che le prendo, posso passare il tempo a chiedermi come mai ho perso, oppure posso provare a capire come mai l’altro ha vinto, e NON è affatto la stessa cosa. Per esempio, all’altro potrebbe aver arriso la vittoria indipendentemente da tutti gli errori che ho fatto io, oppure io non ho fatto grandi cazzate, ma il mio avversario era ed è immensamente più forte. Alla formica non serve cercare di capire dove e perché non è riuscita a essere forte come l’elefante. Serve di più che provi a capire cosa rende forte l’elefante e lavorare per minarne le basi.

2 commenti:

giuseppe pinto ha detto...

Parola politica
Di blog in blog ... ti ringrazio Igor di aprire ogni tanto sulla rete spazi di parola.
Tempo fa ne apristi uno sul tema della guerra e della violenza al quale partecipai, ma che chiudesti per me troppo presto, e adesso ne apri un altro sulla politica intercettando ancora una volta come la volta scorsa un bisogno che sento forte.
Io sono uno che ha deciso di votare negli ultimi 20 giorni prima delle elezioni, sono uno che è rimasto profondamente deluso dall'esperienza di governo dell'Ulivo, sono uno che in modo ricorrente, non essendo militante a tempo pieno, sente riemergere una spinta che lo interroga a definire la dimensione politica della propria esistenza, sono uno che ha votato senza molto entusiasmo e passione per la sinistra arcobaleno, sono uno che sente e vive in pieno la crisi del rapporto di rappresentanza che è uno dei cardini della democrazia.
Ma da qualche tempo mi chiedo, insieme ad altri amici confusi con i quali mi incontro per parlare di politica, quale sia la mia rappresentazione della politica; e non è facile dare ad essa una forma. La sua messa in scena si gioca su troppi palchi, sempre più e sempre troppo sconnessi fra loro (il lavoro, il tempo libero, le relazioni interpersonali, la famiglia …). Già tentare questa ricomposizione mi sembra un lavoro necessario; già questo è fare politica? Già questo è rappresentazione?
E, da qualche tempo ancora, sento crescere il disagio nel fare un lavoro che sento intimamente legato alla politica ma che troppo spesso rinuncia – deriva neutra e asettica del lavoro sociale che separa il mestiere dalla sua vocazione a dare una forma alla società che lo accoglie? – a prendere posizione – su tutti i livelli, da quello collettivo (lavoro in una cooperativa e mi sento pochissimo vicino a molti degli stili, delle forme e dei contenuti di chi (mi) rappresenta la cooperazione) a quello personale (quando incontro i genitori nei percorsi formativi, i ragazzi nel lavoro educativo, i miei “simili” nei vari gruppi/tavoli di lavoro).
Da questo disagio e da questa crisi parto per dire che intanto sto cercando luoghi e tempi per riprendere parola politica sulla mia vita e coraggio e responsabilità per immettere parola politica nei luoghi che frequento.
E nel riprendere parola e nel trovare con chi condividerla, cercare domande che interroghino il senso e la direzione del futuro.

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con Igor. Pur essendo una che crede moltissimo all'auticritica, un certo tipo di autocritica ti rende più scemo dell'avversario perchè ti costringe senza che ne sei consapevole ad inseguirlo sul suo stesso terreno.
Per fare un esempio, mi riferisco alla proposta di Rutelli del braccialetto antisptupro per le donne, fatta credo anche per dimostrare che sul tema sicurezza non la sa meno lunga di Alemanno e della destra.
Non so se rdere o piangere. Ho 51 ani, credo perciò di non appartenere alla categoria a rischio di stupro. E' vero c'è sempre qualcuno in giro con complessi edipici irrisolti, ma confido ancora nei lettini psicoanalitici che spero facciano da baluardo a possibili agiti in tal senso.
Non sono perciò una che ha un interesse diretto a richiederlo e questo forse mi porta a non considerare pienamente questo tipo di rischio.
Mi domando però per violenze meno straordinarie che una donna subisce, ad esempio la violenza nelle mura domestiche, il mobbing aul lavoro, il taglio dei servzi che la costringono violentemente tra le mura domestiche,ecc, squilla questo braccialetto, e se squilla chi è disposto a sentirlo?
Marina Balestra