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martedì 6 maggio 2008

Bulli, gang e neuroni

Dice che a Viterbo bruciare i capelli di un compagno con l’accendino possa essere una sorta di rito iniziatici praticato dai “bulli” di una scuola medi per stabilire chi debba essere degno di stare dentro e chi no. Del resto dice anche che a Verona la banda di giovinastri che ha ucciso a pugni e calci un loro coetaneo, appartiene al ben noto fenomeno delle gang giovanili presente a tutte le latitudini e probabilmente molto antico.

Però i riti iniziatici, per definizione, sono destinati agli iniziati e agli iniziandi, dunque se si riprende con il telefonino una qualche sevizia perpetrata ai danni di un malcapitato e poi il filmato gira per tuta la scuola o finisce su Youtube, cosa cavolo centra con le iniziazioni, per loro natura sempre riservate e segrete? E cosa cavolo centrano le gang di Chicago che si fanno la guerra tra loro per il controllo di una porzione ridicola di territorio degradato e i Naziskin di buona famiglia che brutalizzano il prossimo in nome di una ideologia che pretendono essere buona al punto da essere imposta al mondo intero?

Niente. Un accidenti di niente. E i discorsi che circolano in proposito sfiorano fin troppo l’idiozia.

A meno che.

A meno che il rito iniziatico non consista nel bruciare capelli, ma nel riprendere l’atto per pubblicarlo. A meno che la gang giovanile con svastica tatuata non cessi di essere una semplice gang perché qualcuno la sdogana dai bassifondi culturali e la promuove a movimento politico. E allora, che ci sarebbe da stupirsi? Se ciò che conta è andare in onda, è ovvio che degli adolescenti con non più di tre neuroni attivi nella scatola cranica si prepararino con molto anticipo al casting del Grande Fratello, oppure a infrangere qualche primato idiota per entrare nel Guinnes dei primati. E se ciò che conta è urlare la propria verità evitando accuratamente di ragionarci attorno, è ovvio che una banda di giovani che abbiano da tempo messo in pensione ogni attività cognitiva, si preparino ad essere partecipanti attivi e sbraitanti di qualche talk show dove faranno le medesime cose, salvo evitare di ammazzare qualcuno.

La cosa francamente insopportabile alla fine di tutto ciò, è che dovremo pure sorbirci le litanie mai esauste sulla necessità di educare in nostri figli, se non vogliamo che finiscano così. Magari con una buona iniezione di valori, di quelli veri, dimenticando che i valori non si raccontano, si praticano. E quelli praticati in modo diffuso sono esattamente quelli che gli stupidi di Viterbo come gli assassini decerebrati di Verona, hanno imparato e seguito diligentemente. Sicchè alla stupidità degli eventi, siamo costretti ad aggiungere la stupidità dei giudizi.

Forse, se proprio vogliamo dire qualcosa di rivoluzionario, la questione di fondo è che il valore primo e irrinunciabile cui ogni intenzione educativa dovrebbe tornare, è il valore del pensiero critico. Come dire che se vogliamo invocare in modo sensato l’intelligenza dell’educazione, occorre che pratichiamo sino all’ultimo respiro un’educazione all’intelligenza.

3 commenti:

Riccardo ha detto...

E' solo una questione di "emergenza educativa". Mantovano (An) mi ha appena detto che glielo ricordava il Papa giusto pochi giorni fa. E' molto semplice: c'è il bullismo che è l'insieme dei bulli. I bulli fanno cose cattive perchè sono nichilisti. Bisogna dunque insegnare ai nostri giovani i valori. Il primo di tutti è il valore della vita.
E' un discorso semplice, piatto e comprensibile.
Ogni problema, ogni evento ha un suo nome comprensibile e semanticamente capace. La violenza alle donne si chiama "sicurezza"; i furti si chiamano "immigrazione"; la crisi economica si chiama "sindacato" o "comunismo", l'inquinamento si chiama "traffico" e via discorrendo. Quando ogni parolina ha la sua casina il puzzle è completo. Il sistemone è pronto, svelato. E' sistema, capace di orientare, dare significati, percepire gli eventi.
La cosa che più mi atterrisce non è subire un sistema che cresce, si alimenta e diventa grande. La cosa che fa male è quando non si vede che oramai è così grande che tutti lo possono vedere, che abbiamo la possibilità di nominarlo, indicarlo, se vuoi.
Invece sembra che regni l'afasia. Come se ci stupisse che dobbiamo tornare a dire le cose per quelle che sono.
Invece dovremmo spingerci anche oltre e smettere di vederle solo per quello che sono. Potremmo infatti cominciare a vederle per quello che crediamo (vogliamo, desideriamo) che siano. La verità è un processo di inveramento non è una risposta che sta lì, ferma, nascosta aspettando che il prsentatore l'accenda.
Siamo quello che desideriamo essere e non altro.
Questo sarebbe un bello scatto di dignità. E' una questione di emergenza educativa.
Riccardo C.

Igor Salomone ha detto...

E non era esattamente questo che intendevo dire, Riccardo, indicando la necessità di "Educare all'intelligenza"?

Anonimo ha detto...

Questo è stato scritto centosessanta anni fa ........

Giovanna N

«Può tuttavia accadere che un gusto eccessivo per i beni materiali porti gli
uomini a mettersi nelle mani del primo padrone che si presenti loro. In
effetti, nella vita di ogni popolo democratico, vi è un passaggio assai
pericoloso. Quando il gusto per il benessere materiale si sviluppa più
rapidamente della civiltà e dell'abitudine alla libertà, arriva un momento
in cui gli uomini si lasciano trascinare e quasi perdono la testa alla vista
dei beni che stanno per conquistare. Preoccupati solo di fare fortuna, non
riescono a cogliere lo stretto legame che unisce il benessere di ciascuno
alla prosperità di tutti. In casi del genere, non sarà neanche necessario
strappare loro i diritti di cui godono: saranno loro stessi a privarsene
volentieri... Se un individuo abile e ambizioso riesce a impadronirsi del
potere in un simile momento critico, troverà la strada aperta a qualsivoglia
sopruso. Basterà che si preoccupi per un po' di curare gli interessi
materiali e nessuno lo chiamerà a rispondere del resto. Che garantisca
l'ordine anzitutto! Una nazione che chieda al suo governo il solo
mantenimento dell'ordine è già schiava in fondo al cuore, schiava del suo
benessere e da un momento all'altro può presentarsi l'uomo destinato ad
asservirla. Quando la gran massa dei cittadini vuole occuparsi solo dei
propri affari privati i più piccoli partiti possono impadronirsi del potere.
Non è raro allora vedere sulla vasta scena del mondo delle moltitudini
rappresentate da pochi uomini che parlano in nome di una folla assente o
disattenta, che agiscono in mezzo all'universale immobilità disponendo a
capriccio di ogni cosa: cambiando leggi e tiranneggiando a loro piacimento
sui costumi; tanto che non si può fare a meno di rimanere stupefatti nel
vedere in che mani indegne e deboli possa cadere un grande popolo».

Tratto da De la démocratie en Amerique di Alexis De Tocqueville, 1840.