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martedì 13 maggio 2008

Perdere e perdersi

Hanno vinto. Sì’, hanno vinto. Hanno vinto perché c’è in giro aria di disfatta. Persino una voglia perversa di dichiararsi sconfitti, inadatti, velleitari, sordi ai bisogni veri della gente, incapaci di intercettare paure, desideri, aspirazioni. Chiusi nei palazzi, nei loft, nelle segreterie, lontani da quello che si muove dove operai, impiegati, artigiani, studenti, pensionati, imprenditori si muovono, soffrono e sopravvivono. Questo saremmo noi, i perdenti, visti da noi stessi. Che infatti siamo perdenti.

Hanno vinto perché lo gridano in continuazione e da subito. E vogliono il bottino, tutto, senza sconti. E nessuno che provi a fermarli, anzi, se hanno vinto avranno pure avuto delle buone ragioni. Almeno loro. Non come quelli che sono stati sconfitti, ovvero noi, che la ragione sembra abbiamo perso da tempo. E non sapendo più a chi dar ragione, ecco la rincorsa comune per assegnarla a chi se la prende con la forza.

Hanno vinto perché il linguaggio che dobbiamo parlare è il loro, e lo facciamo, con le braccia alzate. E se non lo facciamo, ci tocca l’afasia. E se prendiamo la parola dobbiamo poi fare pubblica ammenda, perché un altro linguaggio non è ammesso, è condannato, esecrato, additato. E allora stiamo zitti, oppure parliamo ma nessuno ci ascolta, qualche volta ci sentono e finiamo nei guai, e ci scusiamo, e perdiamo ancora, sempre, in continuazione.

Hanno vinto non perché loro hanno vinto e noi perso. Perché noi, perdendo, ci siamo persi.
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Ci siamo persi perché abbiamo smarrito l’orgoglio e la dignità, il coraggio e la forza, la determinazione e la volontà, il senso di responsabilità,

L’orgoglio di essere figli, figli di padri e madri che hanno dato prima la vita per la nostra libertà, compresa quella di chi ora li rinnega, e poi hanno dedicato l’intera vita a costruire quel benessere dietro il quale rischiamo di perdere i diritti e i doveri che ci avevano appena regalato.

La dignità di uomini e donne non riducibili a consumatori, lavoratori, contribuenti, utenti, spettatori. Uomini e donne fatti non solo di problemi da risolvere, bisogni da soddisfare, desideri da esaudire, ma soprattutto di intelligenza e di virtù. E che per l’intelligenza e la virtù, per coltivarle e per proteggerle, sono disposti a sacrificare i desideri, semplificare i bisogni, convivere con i problemi.

Il coraggio di combattere per ciò che riteniamo giusto per tutti, contro quelli disposti a combattere solo per ciò che ritengono conveniente per sé. Di lottare sino in fondo per proteggere il proprio vicino, di sacrificare la propria vita se necessario per fare la cosa giusta, di pagare in prima persona per le proprie scelte senza scaricare i costi sulle spalle degli altri.

La forza di affrontare tutto ciò che minaccia il nostro coraggio, la nostra dignità, il nostro orgoglio, cadendo magari, e poi rialzandosi, sempre, sino all’ultimo respiro. Di sostenere chi di forza ne ha meno, ma ha lo stesso diritto alla dignità. Di guardare intensamente davanti a sé alla strada che c’è da fare e non il numero degli ostacoli che occorre superare. Di guidare chi per paura di quegli ostacoli, rischia di non provare neppure a percorrerla.

La determinazione nel compiere scelte e scegliere percorsi, senza certezza alcuna, se necessario, contro tutti coloro che non sanno intraprendere nulla, ma sanno criticare acutamente tutto quello che intraprendono gli altri. Nel riconoscere errori e abbagli non per interrompere il cammino ma per correggerlo. Nel giudicare applicando intelligenza a tutto ciò che si incontra, compresi i propri giudizi sbagliati.

La volontà di farsene qualcosa di tutto ciò che ci accade, perché ciò che ci accade non dipende da noi, ma le nostre reazioni sì. Di riconoscere in ognuno la possibilità e dunque attribuendo a ognuno la responsabilità di quella possibilità. Di esserci mediando con la volontà altrui su tutte le scelte possibili, ma senza sconti e senza compromessi sull’intelligenza e sulla virtù.

Il senso di responsabilità nei confronti del mondo. Di un mondo che è molto più di ognuno di noi, ma che esiste perché, e sino a che, è in ognuno di noi. Perché è al mondo, alla sua stessa possibilità di continuare ad essere, che in ultima analisi dobbiamo rispondere.


Al di là di ogni dotta analisi, è solo da qui che possiamo ripartire.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Caro Igor, leggo con costanza le tue riflessioni su questo nuovo passaggio nel quale ci troviamo, un passaggio che è il risultato di un lungo percorso che ci ha condotti fino a qui. Abbiamo preparato con cura certosina questa sconfitta, che non è solo politica, ma trovo sia la sconfitta di una idea di convivenza tra noi cittadini. Certo, la convivenza è continuamente in bilico tra accoglienza ed esclusione, tra accettazione e rifiuto, una oscillazione necessaria che permette di calibrare in continuazione il vivere civile. Bene, siamo sicuri che da ora in poi le parole d’ordine saranno esclusione e rifiuto, senza oscillazioni. E’ questa monotonia che mi spaventa, perché aver assunto un punto di vista univoco è pericoloso, banalmente perché osservare la realtà con un paio di occhiali di questo tipo non consentirà di fare scelte in grado di accompagnarne l’evoluzione, ma di orientarla nei suoi aspetti peggiori attraverso l’ideologia ad esempio quella già ora pronta della difesa ad oltranza delle nostre comunità. In questo passaggio di spaesamento complessivo dell’intera nostra società, si è scelto (un po’ orientati da demagoghi, un po’ come deriva culturale) di dar vita ad effimere comunità territoriali o ideologiche cementate dall’esclusione violenta, preconcetta e assoluta dell’altro. La normale tensione esistente tra ogni dentro e fuori è stata trasformata in conflitto. Le nostra comunità sottoposte a tensioni sempre più forti, ne hanno scelta una come elemento sul quale poter agire, e quale elemento migliore per sentirsi ancora attivi che prendersela con persone in carne in ossa che girano per strada e che ci creano disagio. Certo, è oggi quasi impossibile agire sulle trasformazioni economiche o su quelle in atto nei rapporti famigliari, per questo su queste si è costretti a tenere aperte le tensioni, anche solo di facciata. Oggi il moralismo pubblico arriva a livelli indecenti, basta ascoltare le litanie sul valore della famiglia, mentre nel privato gli stessi moralisti si concedono di tutto. Ma da qualche parte si deve comunque agire, ci si deve sentire cittadini attivi, capaci di fare e sentire, di dare senso. Ecco allora chi si da al volontariato e chi invece alla curva da stadio. Ma oggi sfortunatamente non ha vinto la curva da stadio, ha vinto una cultura dell’esclusione che abita anche il volontariato ed è questo il dramma. Conosco tante brave persone impegnate nel volontariato, che offrono tempo per gli altri, ma sono le stesse persone che considerano la loro associazione quella importante, contro le altre (ribadisco contro). Perché aver dato vita a quella associazione, nata per quel bisogno specifico, ha fatto nascere una comunità e dei ruoli per i quali si può lottare con i denti. La necessaria tensione per la sopravvivenza di ogni organizzazione si è trasformata in cultura di lotta perenne, che poi induce l’affermarsi della propria identità come valore da issare contro l’altro. Siamo diventati tutti così fragili, anzi lo siamo sempre stati, con la differenza che oggi si è fragili da soli, ecco allora il rifugio nelle piccole patrie. Abbiamo bisogno di fare un bel respiro ed abbassare il ditino indicatore per incontrare coloro che ci passano vicini, c’è bisogno di realizzare luoghi che smettano di affermare quello che sanno fare ed invece dimostrino, vivendolo, il senso del loro agire. Questa è l’unica cosa nella quale oggi ho intenzione di impegnarmi.
Franco

Anonimo ha detto...

Il tuo post di oggi è tra quelli su cui mi sono trovato di più in assoluto. Condensa la carica etica che, non "dovrebbe", ma dovrà entrare nella mentalità comune perchè si possa ancora calpestare questo globo. E si collega molto ad una bellissima risposta sull'Unità del 12 di Cancrini in ultima pagina, in cui parla di come tradurre e spiegare ciò che abbiamo imparato. Di come sia difficile riportare come valori nella modernità, un bagaglio enorme che partiva dai libri e che con argomentazioni articolate, complesse, ha costruito quello zaino di valori, conoscenze, cultura che sarà indispensabile portare con sè e spendere per un vero cambiamento. Perchè senza radici nessun cambiamento avviene.
E come fare, si domanda Cancrini, in un mondo in cui da troppo tempo è stato proposto come "Valore" un edonismo comodo e facilmente accessibile, naufragato nella prevedibile forbice tra chi ha e chi vorrebbe avere? Come fare a tradurre questa complessità alle nuove generazioni che sono inghiottite da meccanismi plug-and-play di consumo e la cui comunicazione avviene non più per dialoghi corposi e intensi, bensì per immagini suggerite sapientemente dallo stesso mondo che dapprima le si propone come easy and free, ricco di possibilità di ricchezze e notorietà, per poi divorarle? Come fare a comunicare efficacemente questa storia che è fatta di analisi, a ragazzi che parlano per sigle e abbreviazioni improponibili in miloni e milioni di sms e per i quali l'immediatezza della comunicazione, piuttosto che la pazienza della comprensione profonda, è ormai Il Valore? Come sostituire al mondo dello "skazzo", dei ragazzi di Vasco per i quali è tutto uguale, "che non credono più a niente", che "va bene, va bene così...", quello dell'impegno e della ricerca costante del giusto e dell'universamente condivisibile quale valore autentico?
E' una lotta improba, perchè il nemico (la Kabalah ebraica parlerebbe di "antico avversario"), è forte e non ha usato il fuoco per imporsi, bensì l'acqua. L'acqua è morbida, gradevole, e penetra dappertutto senza far rumore permeando ogni angolo, buco, rigagnolo.
E qui entriamo in causa noi. Dovremo riscoprirci "antichi". E parlare, parlare con ogni persona, ogni giovane di questi valori ogni volta che l'occasione si presenta. Praticarli e renderli credibili. Sostituirli in noi in primis in tutti quei meccanismi dai quali ci crediamo esenti, ma che subdolamente hanno attecchito nella vita di ciascuno di noi, chi più chi meno. E rendere questi valori fuoco bruciante nella vita. Che si veda dall'esterno e faccia porre domande.
Bisogna tornare a quelli che i latini chiamavano gli "exempla", sposandoli nel nostro tempo, senza l'idea di avere il giusto in tasca, ma con l'idea che questo sia il modo per produrre giustizia.
Pronti via.
Valerio

Anonimo ha detto...

Io sento l'esigenza di non implodere. Mi sembra talmente "altro" quello che sta accadendo che devo vincere la reazione di non guardarlo.
Non guardare Fini che risponde a Di Pietro che, se non lo fanno parlare "è colpa sua", salvo aver detto pochi giorni prima he rappresentava, per la sua carica istituzionae, "tutti" (quindi anche i punti di vista diversi dalla maggioranza, per logica).

Non guardare alla logica "molle" (e non morbida) di abbanonare una sana e democratica contrapposizione. Perchè mai dovrebbe andarmi bene la logica ipocrita del "volemose bene"?
Non è per il mio bene, non è per il nostro bene, non è per il bene del Paese. Serve solo a creare un pensiero unico, un appiattimento, un impovermento, piuttosto: un regime.

Per quel poco che mi impongo di guardare, la sinistra che ho votato perchè è così lontana da me? Perchè non mi ascolta? E come posso farmi sentire. Evidentemente, il voto non basta e nemmeno fare scelte coerenti e concrete.

E allora, chiedo, come possiamo farci sentire?
Monica

Anonimo ha detto...

Ehila! c'è qualcuno al Governo-Ombra?

Vi rimando alla lettura dell' articolo di Eugenio Scalfari di Domenica 18 maggio su Repubblica "L'ultima maschera del nuovo statista" dove richiama al GUSTO di civiltà e libertà e che :"...se ci si deve impegnare in una politica di dialogo istituzionale, questi valori non possono essere sottaciuti e dati per noti;vanno viceversa proclamati e la loro condivisione va posta come premessa e condizione indispensabile al dialogo...."
Come singolo elettore posso solo cercare di fare come suggerisce Valerio nel suo post, cioè di rendere questi valori fuoco bruciante nella vita per far crescere moralmente questo paese e sperare che chi mi rappresenta non si mostri ancora una volta sordo e cieco.
Giovanna N.